SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Sentenza 02 febbraio 2011, n. 2451
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
La Cooperativa sociale Madonnina del Grappa Onlus, in liquidazione coatta amministrativa, chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’Appello di Firenze, pubblicata il 3 novembre 2006, che ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado del giudizio promosso da S.D. nei suoi confronti. Lo S., socio lavoratore della cooperativa, subì un infortunio sul lavoro il (OMISSIS). Convenne in giudizio la cooperativa. Il Tribunale condannò la convenuta al pagamento della somma di 18.371,02 Euro, pari alla metà del danno subito dal lavoratore, ritenendo sussistente un suo concorso di colpa in tale misura. Condannò in solido anche l’impresa committente Costruzioni e restauri srl, chiamata in causa dalla cooperativa.
La Corte ha accolto l’appello principale del lavoratore condannando la cooperativa al risarcimento integrale del danno subito dal lavoratore ed ha accolto l’appello incidentale di Costruzioni e restauri escludendone la responsabilità solidale.
La cooperativa ricorre proponendo due motivi. Si difendono con controricorso tanto il lavoratore, che la srl Costruzioni e restauri.
Con il primo motivo di ricorso si denunzia violazione degli artt. 1218 e 2087 cod. civ. e del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 2, anche con riferimento all’art. 2697 cod. civ., nonchè vizio di omessa o insufficiente motivazione. Il quesito di diritto è il seguente: se gli artt. 1218 e 2087 cod. civ., anche con riferimento all’art. 2697 cod. civ., possano essere interpretati nel senso che in presenza di un comportamento del lavoratore imprevedibile in quanto anomalo e non richiesto dal datore sia configurabile la fattispecie del rischio elettivo. Viene formulato anche un quesito con riferimento al vizio di motivazione: se l’affermazione della responsabilità della Madonnina per carente controllo sull’attività lavorativa dello S. sia, o no, adeguatamente motivata, tenuto conto del carattere abnorme ed imprevedibile dell’iniziativa da costui assunta di salire su di una tettoia in lamiera pur potendo rimuoverla da sotto.
Per affrontare la questione di diritto proposta, dovrebbe convenirsi sul fatto che il comportamento sia stato anomalo ed imprevedibile. La Corte sul punto è pervenuta ad una valutazione diversa dei fatti. Ha accertato il contesto in cui il lavoratore operava, rilevando che la cooperativa si è dimostrata all’oscuro delle reali modalità operative con le quali il proprio personale agiva nel cantiere; che non ha saputo specificare quali fossero i suoi preposti sul cantiere con l’incarico di sorvegliare il personale e di curare la puntuale osservanza delle norme antinfortunistiche, nè ha provato di aver assolto alle più elementari forme di tutela antinfortunistica (cartellonistica, cinture di sicurezza, ecc…).
Quanto all’operazione posta in essere dal lavoratore la Corte l’ha ricostruita alla luce degli elementi emersi in istruttoria ed ha valutato che fu un “gesto del tutto prevedibile”.
Quella della Corte è una valutazione di merito effettuata sulla base del quadro probatorio delineatosi nel processo: valutazione che, in assenza di vizi logici della motivazione, non può essere riformulata in sede di legittimità.
Con il secondo motivo si denunzia violazione dell’art. 1659 c.c., in relazione al D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 4, 5 e 8, lett. g), nonchè vizio di omessa e comunque insufficiente motivazione. Il quesito che si pone è: se l’art. 1659 c.c., in relazione al D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 4, 5 e 8, lett. g) possa essere interpretato nel senso di escludere la responsabilità dell’impresa committente per aver richiesto al dipendente della appaltatrice un lavoro non rientrante nell’appalto. Viene formulato anche un quesito in ordine al vizio di motivazione: se l’esclusione della responsabilità della committente sia o no adeguatemente motivata tenuto conto che l’operazione che ha dato origine all’infortunio non rientrando nell’oggetto dell’appalto non è stata nè avrebbe potuto essere richiesta dall’appaltatrice, ma solo dall’appaltante.
Anche con questo motivo si chiede alla Corte di legittimità di andare oltre i limiti del giudizio di cassazione. La valutazione sulla riconducibilità all’appalto della operazione che stava svolgendo il dipendente e l’accertamento del fatto che tale operazione gli fosse stata richiesta dalla impresa committente, non rientrano nell’ambito del giudizio di legittimità. La prima è una valutazione di merito che la Corte non può fare e che non ha gli elementi documentali (contratto di appalto) e probatori (valutazione del quadro probatorio acquisito al processo) per fare. Il secondo è un tema probatorio, che viene proposto in Cassazione senza precisare se, quando e come, e in questo caso con che esito, sia stato proposto nel giudizio di merito.
In conclusione, con entrambi i motivi non vengono poste questioni di diritto, nè vengono segnalati specifici vizi motivazionali, ma vengono poste questioni in fatto e valutazioni dei fatti estranee al giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione alle controparti delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, in favore di ciascuno degli intimati, in 30,00 Euro, nonchè Euro 3.000,00 per onorari di avvocato, oltre I.V.A., C.P.A. e spese generali