Infortunio sul lavoro, inabilità, rendita Inail, mansioni, onere della prova

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Sentenza 09 giugno – 22 settembre 2010, n. 20010

(Presidente Vidiri – Relatore Stile)

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato il 16 luglio 1998, P. L., premesso di aver subito in data omissis, infortunio sui lavoro dal quale erano residuati postumi permanenti in misura indennizzabile e di averlo denunciato all’INAIL, chiedendo la costituzione della rendita in misura pari al 21%, con esito negativo, si rivolgeva al Pretore di Napoli, affinché fosse accertata e dichiarata la sussistenza di inabilità permanente per infortunio sul lavoro e per l’effetto che l’INAIL fosse condannato al pagamento della relativa rendita in detta misura o in quella maggiore o minore da accertare in corso di causa.

L’INAIL si costituiva, chiedendo il rigetto della domanda.

Disposta ed espletata consulenza tecnica, il Pretore rigettava la domanda.

Avverso tale decisione il L. proponeva appello, sostenendo che, nonostante rivestisse la qualifica impiegatizia, per la attività in concreto svolta, gli spettasse l’assicurazione INAIL.

Si costituiva l’Istituto, chiedendo il rigetto del ricorso.

Con sentenza del 21 luglio-15 ottobre 2005, l’adita Corte di Appello di Napoli, rilevato che il L. non solo non aveva provato che l’infortunio era avvenuto in occasione o a causa di lavoro ma anche che, per il concreto atteggiarsi della sua attività, vi era prevalenza del lavoro manuale rispetto alle mansioni impiegatizie, rigettava il gravame.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorre il L. con un motivo.

Resiste l’INAIL con controricorso.

Motivi della decisione

Il ricorrente, con l’unico mezzo d’impugnazione, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 116 c.p.c. e D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 2 con collegato difetto di motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), lamenta vizi interpretativi e logici della sentenza con riferimento alla nozione di “occasione di lavoro” e contesta l’iter argomentativo seguito dal Giudice d’appello, che aveva respinto il ricorso ritenendo non provato il presupposto indispensabile per l’indennizzabilità dell’infortunio ovvero che il lavoratore rientrasse tra i soggetti assicurati dall’INAIL.

Il motivo è infondato.

Ai sensi del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 1 “È obbligatoria l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro delle persone le quali, nelle condizioni previste dal presente titolo, siano addette a macchine mosse non direttamente dalla persona che ne usa, ad apparecchi a pressione, ad apparecchi e impianti elettrici o termici, nonché delle persone comunque occupate in opifici, laboratori o in ambienti organizzati per lavori, opere o servizi, i quali comportino l’impiego di tali macchine, apparecchi o impianti.

L’obbligo dell’assicurazione ricorre altresì quando le macchine, gli apparecchi o gli impianti di cui al precedente comma siano adoperati anche in via transitoria o non servano direttamente ad operazioni attinenti all’esercizio dell’industria che forma oggetto di detti opifici o ambienti, ovvero siano adoperati dal personale comunque addetto alla vendita, per prova, presentazione pratica o esperimento”.

Il successivo art. 4 afferma che “Sono compresi nell’assicurazione:

1) coloro che in modo permanente o avventizio prestano alle dipendenze e sotto la direzione altrui opera manuale retribuita, qualunque sia la forma di retribuzione;

2) coloro che, trovandosi nelle condizioni di cui al precedente n. 1), anche senza partecipare meterialmente al lavoro, sovraintendono al lavoro di altri …”.

La limitatezza della definizione dell’“opera manuale” desumibile dalla legge appare, come ha rilevato la Corte Costituzionale, un residuo della concezione originaria dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro come volto a proteggere gli operai addetti a macchine, apparecchi o impianti, in quanto particolarmente esposti al rischio nascente dai suindicati strumenti (v. Corte Cost. 21 marzo 1989 n. 137).

Questa definizione, nel suo significato strettamente letterale, si è dimostrata insufficiente, quando sono state introdotte macchine elettriche, che, in relazione alla loro funzione, vengono utilizzate non da operai ma solo da dipendenti svolgenti mansioni esclusivamente intellettuali e dirigenziali (macchine elettrocontabili, videoterminali, fotoriproduttori, computer ecc). Per estendere l’assicurazione contro gli infortuni a questi nuovi soggetti, esposti anch’essi al rischio derivante dall’uso di apparecchi elettrici, la giurisprudenza di legittimità ha superato la valenza giuslavoristica dell’espressione “opera manuale” come contrapposta all’opera intellettuale (propria dell’impiegato e del dirigente), affermando che detta espressione si identifica nel diretto contatto dell’operatore con l’apparecchio per un uso professionale (purché non occasionale o eccezionale), non rilevando ai fini del rischio infortunistico che detto uso possa essere strumentale rispetto ad una prestazione essenzialmente intellettuale (Cass. n. 12930/1999).

La Corte Costituzionale, da parte sua, ravvisava la necessita dell’estensione della tutela antinfortunistica agli impiegati nell’art. 3 Cost., affermando che “tutti i lavoratori dipendenti sottoposti al medesimo rischio per il loro servizio presso macchine fruiscono della tutela assicurativa a prescindere dalla qualifica anche impiegatizia loro spettante nell’impresa” (Corte Cost. 17 dicembre 1969 n. 152 e 9 giugno 1977 n. 114).

Ed è solo con riguardo a questa ipotesi (rischio derivante direttamente dall’adibizione alla macchina) che la giurisprudenza della Cassazione ha parlato di un diretto contatto con l’apparecchio e di un dispendio fisico del lavoratore nell’uso della macchina, apparecchio o impianto (v. Cass. 2 aprile 1987 n. 4071).

Nel caso di specie, il Giudice a quo ha osservato che il L. aveva affermato di essere stato a contatto con macchine e quindi di rientrare nell’assicurazione obbligatoria istituita presso l’INAIL, rilevando il dato della prevalenza del lavoro manuale rispetto alla qualifica impiegatizia.

Sennonché la prova dello svolgimento di mansioni che lo rendevano soggetto assicurabile incombeva proprio sul ricorrente che intendeva far valere il proprio diritto all’indennizzo per l’infortunio asseritamente subito, secondo il principio derivato dall’art. 2697 c.c.

Ebbene, il Giudice di appello, e così pure quello di primo grado ha ritenuto, esercitando il proprio potere di discrezionale valutazione delle prove, insindacabile in sede di giudizio di merito, che il L. non abbia provato che le mansioni concretamente svolte dallo stesso fossero tra quelle che lo avrebbero reso soggetto assicurabile. Il ricorrente, cioè, non ha provato il presupposto indefettibile del diritto che intendeva fare valere in giudizio. Di talché il ricorso e l’appello non potevano che essere respinti.

Superflue tutte le considerazioni in ordine alla sussistenza dell’occasione di lavoro, mancando il presupposto della copertura assicurativa del soggetto.

Per quanto precede il ricorso va rigettato.

Nulla deve disporsi per le spese del presente giudizio ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo anteriore a quello di cui al D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 11, nella specie inapplicabile ratione temporis.

P.Q.M.

 

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese

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