Malattia professionale, responsabilità, lavoratore, onere della prova

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Sentenza 30 giugno – 14 ottobre 2010, n. 21203

(Presidente Sciarelli – Relatore Ianniello)

Svolgimento del processo

La Corte d’appello di Catania, con sentenza depositata il 31 agosto 2006, ha respinto l’appello avverso la sentenza di primo grado, con la quale il Tribunale della medesima città aveva, per quanto qui interessa, rigettato la domanda di risarcimento danni biologico e morale proposta da A. G. nei confronti della propria datrice di lavoro X s.n.c., in quanto indicata come responsabile della bronco-pneumopatia ostruttiva contratta dal lavoratore nel lavoro a causa della violazione da parte della società degli obblighi di sicurezza di cui all’art. 2087 cod. civ.

La Corte territoriale ha respinto altresì l’appello incidentale della società diretto ad ottenere la riforma della sentenza citata nel capo in cui aveva accolto la richiesta del G. di annullamento del licenziamento comunicatogli con lettera del 20 gennaio 1999 per “impossibilità di utilmente impiegarlo in mansioni inesistenti nella nostra organizzazione aziendale che possano salvaguardarlo dalla inalazione di una qualsiasi sostanza volatile”, con la conseguente condanna della società a riassumere il dipendente o, in mancanza, a risarcirgli il danno nella misura di sei mensilità di retribuzione.

In proposito, la Corte territoriale ha ritenuto, quanto all’appello principale, che la società avesse provato di avere adottato tutte le cautele necessarie, secondo le conoscenze scientifiche dell’epoca dei fatti, per evitare l’evento dannoso lamentato.

In ordine all’appello incidentale, i giudici hanno ritenuto corretta la decisione del giudice di prime cure, sia laddove questi aveva dichiarato privo di giusto motivo oggettivo il licenziamento, in ragione della mancata deduzione e prova da parte della datrice di lavoro della inesistenza di una posizione lavorativa adeguata alla qualifica e alla situazione di salute del dipendente, sia nella misura del danno da risarcire in alternativa alla riassunzione.

Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione A. G., affidandolo a due motivi.

Resiste alle domande la società con rituale controricorso, contestualmente proponendo altresì ricorso incidentale, con due motivi, cui il G. resiste con controricorso.

Motivi della decisione

1 – I due ricorsi, principale e incidentale, vanno riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c., avendo ad oggetto un’unica sentenza.

2 – Col primo motivo, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2087 cod. civ. nonché il vizio di motivazione della sentenza impugnata.

Sostiene infatti che dall’istruttoria (relativa alla produzione di una sentenza contro l’INAIL – con relativa relazione di C.T.U. – di riconoscimento al G. della rendita da malattia professionale e a deposizioni testimoniali) risulterebbe indiscutibile, alla stregua della ripartizione in materia dell’onere della prova, l’origine lavorativa della malattia e la riferibilità della stessa a colpa del datore di lavoro. Formula conclusivamente il seguente quesito di diritto:

“Ai fini dell’accertamento della responsabilità del datore di lavoro a causa dell’attività lavorativa svolta alfine di accertare l’esistenza del danno, la nocività dell’ambiente di lavoro nonché il nesso tra l’uno e l’altro può risultare elemento di prova, tra gli altri, l’esistenza di una sentenza passata in giudicato, tra lo stesso ricorrente e l’INAIL che ha acclarato l’esistenza della malattia professionale contratta dallo stesso ricorrente durante l’attività svolta alle dipendenze dello stesso datore di lavoro contro il quale si procede giudizialmente laddove viene altresì specificato che l’attività lavorativa abbia avuto un ruolo preponderante e decisivo nel determinismo dell’evento?”.

3 – Col secondo motivo del ricorso principale, viene denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 4 della legge n. 626 del 1994.

I giudici non avrebbero infatti rilevato la violazione, nel caso di specie, da parte del datore di lavoro dell’obbligo di far sottoporre il lavoratore agli accertamenti preventivi periodici da parte del medico competente previsti dalla legge.

Inoltre il ricorrente principale non sarebbe stato mai informato dei rischi inerenti le attività di produzione pericolose cui era stato addetto né sarebbe stato mai formato all’applicazione delle norme di sicurezza.

Mancherebbe anche una valutazione dei rischi e le altre misure di cui all’art. 4 del D.P.R. citato.

4 – Col ricorso incidentale la società deduce anzitutto, nel primo motivo, la violazione dell’art. 3 della legge n. 604 del 1966 e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, laddove la Corte territoriale aveva ritenuto il licenziamento privo di giustificato motivo, contraddicendo la giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale in caso di sopravvenuta inidoneità al lavoro del dipendente per ragioni di salute non costituisce onere del datore di lavoro provare, in caso di contestazione giudiziale, l’impossibilità di adibire il dipendente a mansioni diverse da quelle in ordine alle quali sia diventato inidoneo.

5. Col secondo motivo, relativo alla pretesa violazione dell’art. 8 della legge n. 604 del 1966 e ad un vizio di motivazione, la ricorrente incidentale lamenta l’eccessività del danno da risarcire, riguardo alla sua determinazione alla luce delle circostanze indicate dalla legge.

Il ricorso principale è infondato.

Quanto al primo motivo, esso (col relativo quesito) non appare pienamente pertinente rispetto all’effettiva articolazione dell’iter logico-giuridico della decisione impugnata.

La Corte territoriale, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente principale, non ha infatti negato l’origine lavorativa della malattia denunciata dal ricorrente, ma unicamente la responsabilità per dolo o colpa del datore di lavoro in ordine alla causazione della stessa.

Aderendo all’insegnamento di questa Corte – secondo cui ai fini dell’accertamento della responsabilità del datore di lavoro per violazione degli obblighi di cui all’art. 2087 c.c. incombe al lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute l’onere di provare il fatto costituente l’inadempimento e il nesso di causalità materiale tra l’inadempimento e il danno, mentre la colpa del datore di lavoro è oggetto, ai sensi dell’art. 1218 c.c., di una presunzione che è possibile vincere con la prova di avere adottato tutte le cautele necessarie ad evitare il danno (cfr. ad es. Cass. 19 luglio 2007 n. 1218 e 13 agosto 2008 n. 21590) – i giudici di merito hanno accertato, alla stregua dell’analisi compiuta dal consulente d’ufficio in materia tecnico ambientale e della prova testimoniale assunta in giudizio, che i mezzi generali e individuali di protezione adottati dall’impresa nel periodo indicato erano adeguati, in rapporto alle conoscenze scientifiche allora esistenti, al fine di evitare danni alla salute dei dipendenti addetti alle relative lavorazioni e che tali mezzi venivano effettivamente utilizzati nel corso delle lavorazioni medesime, correttamente concludendo pertanto nel senso dell’acquisizione della prova sufficiente a vincere la presunzione di colpa dal datore di lavoro (mentre di dolo non si è mai discusso in giudizio).

Una tale valutazione non è investita neppure indirettamente dal quesito di diritto che connota e conclude la formulazione del motivo, quesito tutto inutilmente centrato sulla affermata rilevanza nel presente giudizio di un accertamento giudiziario compiuto in altra sede, relativa al riconoscimento dell’indennità INAIL a seguito della malattia professionale anche qui denunciata, accertamento che non riguarda comunque e non può riguardare l’eventuale responsabilità per dolo o colpa del datore di lavoro in ordine al fatto causativo del danno, ma unicamente l’origine professionale di quest’ultimo.

Quanto al secondo motivo del ricorso principale, i relativi argomenti non costituiscono oggetto di esame nella sentenza impugnata, per cui costituiva preciso onere del ricorrente (secondo il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione) di dedurre in maniera di specifica di avere provocato ritualmente su di essi nel giudizio di merito il contraddittorio tra le parti. In assenza di tale specificazione, le censure in parola non possono essere prese in esame.

Anche il ricorso incidentale è infondato.

Secondo il prevalente orientamento interpretativo di questa Corte suprema, in caso di sopravvenuta infermità permanente del lavoratore non si realizza una impossibilità della prestazione lavorativa costituente giustificato motivo oggettivo di licenziamento qualora il lavoratore possa essere adibito a mansioni diverse (cfr., tra le altre, recentemente, Cass. 28 ottobre 2008 n. 25883, 2 luglio 2009 n. 15500, 13 ottobre 2009 n. 21710 e 29 marzo 2010 n. 7531).

Consegue dall’applicazione della regola enunciata l’infondatezza del primo motivo di ricorso con riferimento al caso in esame, in cui la società ha omesso di dedurre e provare l’impossibilità di adibire il dipendente ad altre diverse mansioni, tanto più in quanto risulta dallo stesso ricorso incidentale che il licenziamento del G. era stato motivato con la “impossibilità di utilmente impiegarla in mansioni inesistenti nella nostra organizzazione aziendale che possano salvaguardarla dalla inalazione di una qualsiasi sostanza volatile”.

Anche il secondo motivo è infondato.

Nel valutare, ai fini della individuazione del danno da risarcire al G. in alternativa alla riassunzione, le circostanze indicate dall’art. 8 della legge n. 604/66, come modificato dall’art. 2 della legge n. 108 del 1990, i giudici di merito hanno attribuito particolare rilevo alla notevole anzianità di servizio del dipendente.

Nel censurare tale valutazione, la società ricorrente incidentale non indica quali altri criteri avrebbero potuto in concreto condurre, se adeguatamente valorizzati dai giudici, ad una diversa determinazione del danno, più favorevole al datore di lavoro, limitandosi a richiamare il criterio relativo al comportamento delle parti, ma senza indicarne il contenuto ai fini indicati e senza specificare le ragioni per cui la sua considerazione avrebbe potuto condurre ad una quantificazione diversa, in tal modo omettendo di rappresentare adeguatamente al giudice di legittimità la rilevanza e la decisività della censura.

Concludendo, in base alle considerazioni svolte, i ricorsi vanno respinti, con conseguente integrale compensazione tra le parti delle spese di questo giudizio di cassazione.

P.Q.M.

 

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta, compensando integralmente tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione

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