Movimentazione manuale dei carichi,un rischio dimenticato?
Una delle prime domande che mi viene in mente sulla movimentazione dei carichi è la seguente: “davanti alla possibilità di eseguire una azione che comporta uno sforzo fisico e dovendo scegliere tra il fare più fatica o meno fatica cosa optereste?”
La risposta è unanime e univoca : “fare meno fatica”
Penso che qualsiasi essere umano, privo di devianze particolari, abbia questa logica ben radicata e che sia stata fondamentale, fin dalla nostra infanzia, nel determinare l’economia, l’efficacia e l’efficienza dei nostri movimenti.
Il neonato sperimenta una infinità di movimenti prima di discernere quelli che gli permettono di compiere azioni e gesti che lo portano ad aprire i suoi orizzonti e a conoscere il mondo lo circonda.
Noi tutti siamo arrivati dopo moltissimi tentativi, a volte anche fallimentari, alla posizione seduta, alla posizione eretta e quindi a camminare ricercando il modo più economico ed efficace di gestire il proprio corpo, evitando tensioni inutili e fastidiose. E’ raro vedere un bambino in tenera età passare dalla posizione supina alla posizione seduta facendo gli “addominali”!, a meno che non vi sia un genitore o chi per esso che lo costringe a seguire la linea retta per mettersi seduto. Il bambino piccolo sceglie un movimento a spirale, girando sul fianco, che gli permette di ottenere lo stesso risultato con il minor sforzo e lo esegue con il sorriso sulle labbra.
La via più breve di esecuzione di un gesto è anche la più economica in condizioni di completo scarico, quando dobbiamo compiere uno sforzo contro gravità, e il più delle volte è sicuramente la più veloce, ma è anche la più faticosa e sollecita maggiormente tutto il nostro sistema neuro-muscolare. In montagna le scorciatoie, che seguono la linea retta verso la meta, sono sicuramente le vie più veloci per raggiungere la cima, ma sono anche le più faticose; quando il tempo non diventa un elemento determinante nella mia scelta, la strategia motoria per raggiungere la meta a volte cambia: le strade costruite dal montanaro sono quasi tutti a zig-zag, ci si impiega più tempo ma lo sforzo viene ridotto! Esiste inoltre un’altra alternativa per ridurre la fatica necessaria per compiere un’azione pesante ed è l’utilizzo di macchine o di attrezzature che eseguono il lavoro al nostro posto e anche questo è frutto di una grande intelligenza che l’uomo ha sviluppato.
Ma… se la ricerca del gesto economico ed efficace fa parte dell’indole umana, come penso lo sia anche la ricerca della salute mentale e fisica, quali meccanismi intervengono perché infermieri, capo sala, operatori tecnici all’assistenza ed ausiliari perseverino nell’utilizzare metodiche di mobilizzazione del paziente che sottopongono la colonna a carichi che possono superare anche gli 800 Kg.? Quali logiche perverse impediscono l’uso di ausili che possono alleviare i nostri sforzi pur garantendo la qualità del servizio, anche dopo aver frequentato corsi che hanno presentato ed analizzato tutti i rischi a carico dell’apparato locomotore ed aver conosciuto tecniche, metodiche ed ausili che permettono un approccio alla mobilizzazione del paziente meno traumatizzante per la nostra colonna?
Questa domanda mi ha perseguitato per un lungo periodo, dopo il primo atteggiamento di stupore e di incomprensione è prevalsa la volontà di analisi, sono rimasti molti dubbi ma anche una certezza: l’approccio puramente tecnico-scientifico della problematica con l’analisi degli spazi di lavoro, gli arredi, gli ausili, le varie metodiche per eseguire correttamente alcuni gesti lavorativi e le modalità di trasferimento dei pazienti non sono di per sé sufficienti, se non si incide sui ritmi lavorativi e su alcuni atteggiamenti culturali radicati, chi più e chi meno, nei nostri ambienti di lavoro.
Alcuni esempi e brevi considerazioni:
o La fretta e ritmi frenetici ci fanno optare per quelle scorciatoie che impediscono l’uso di ausili idonei allo svolgimento delle funzioni e che portano ad eseguire tecniche di mobilizzazione che mettono a dura prova la nostra schiena.
o Per muoversi in piena libertà e ridurre la distanza tra il paziente ed il mio corpo la divisa, deve essere composta da casacche e pantaloni anche per il
personale femminile dato che maggiore è la vicinanza del peso che devo sollevare al fulcro di leva e cioè la mia schiena, minore è lo sforzo a carico della colonna.
o Per diminuire la distanza con il paziente è necessario salire con un ginocchio sul letto del paziente.
o La carrozzina, se non risponde a delle caratteristiche ben precise, oltre a costringere la colonna ad un lavoro eccessivo mette a repentaglio la nostra sicurezza e quella del paziente con grossi rischi anche penali.
o Quello che qualifica un buon solleva persone non è solo la parte meccanica, ma bensì la struttura che viene a contatto con il paziente, l’imbragatura deve essere facile da usare, sicura e di veloce utilizzo.
o La ricerca del “bene individuale”, se non è fine a se stesso, non è una forma egoistica ma è bensì indispensabile per migliorare il mio rapporto con gli “altri” nelle forme che più mi sono congeniali.
Questo è solo uno spunto di riflessione che spero possa arricchire positivamente le schede sulla movimentazione manuale dei carichi che sicuramente potete trovare nei centri di medicina del lavoro o che potete richiedere al servizio di prevenzione e protezione della Vostra Azienda.