Demansionamento e mobbing, necessità della prova

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Sentenza 19 settembre – 24 ottobre 2007, n. 22305

Svolgimento del processo

1.Con ricorso depositato il 16.3.2001 G. C. , dirigente chimico di IIlivello dell’Azienda Ospedaliera Istituti Ospitalieri di Verona,conveniva in giudizio quest’ultima lamentando di aver subito una seriedi atti e comportamenti reiterati diretta alla sua emarginazione nelposto di lavoro. Narrava che, dopo essere stato nominato DirettoreChimico Ospedaliero, responsabile del laboratorio di analisichimico-cliniche, veniva sollevato dall’incarico dal prof. M. Z. ,direttore dell’Istituto di Chimica e Microscopia chimica della facoltàdi medicina dell’Università di Verona e veniva incaricato di assumerela responsabilità del settore dell’automazione chimico-clinica; subitodopo in data 25.6.1993, veniva rinviata la presa di possesso di taleincarico. Successivamente con nota del 19.6.1996 il direttore generaledell’Azienda ospedaliera denunciava la violazione dell’art. 29 d.P.R.761/79 che vietava l’assegnazione a mansioni di livello inferiore allaqualifica ed invitava il prof. Z. a ripristinare la legalità violataassegnando al dr. C. funzioni coerenti con la posizione ricoperta. Nondi meno il ricorrente, anche nel periodo successivo al 1997, rimanevain una condizione di sostanziale inattività ancorché con delibera del5.7.1996 gli fosse affidato l’incarico di coordinatore del lavoro sullaqualità dei servizi.

In ulteriore prosieguo di tempo il TarVeneto, adito dal ricorrente, affermava – con sentenza n. 194 del 2001- l’illegittimità degli atti di conferimento di incarichi apicali cuiil ricorrente stesso ambiva.

Lamentando quindi nel complessouna prolungata attività di mobbing subita ad opera dell’Aziendaospedaliera, chiedeva: a) la condanna all’assegnazione di mansionicorrispondenti all’inquadramento avuto ed alla professionalitàmaturata; b) all’accertamento e alla condanna al pagamentodell’indennità “di risultato” nella misura massima prevista per la suaposizione funzionale per gli anni 1997, 1998 e 1999, oltre agliinteressi maturati ed alla rivalutazione monetaria; c) all’accertamentoche gli atti posti in essere dall’Azienda, già dichiarati illegittimicon sentenza del Tar Veneto n. 1994 del 2001, erano da considerarsi inviolazione dell’art. 2087 c.c. e dell’art. 56 d.lgs. n. 29 del 1993 conconseguente condanna della medesima a risarcirgli i danni patiti inmisura pari alla somma delle mensilità di retribuzione che avrebbedovuto percepire quale “responsabile di struttura complessa” per ilperiodo in cui aveva subito la lesione, (o, invia subordinata, dalluglio 1998); d) alla condanna al risarcimento del danno biologicosubito a causa dell’illegittimo comportamento datoriale, da accertarsiin causa a mezzo di c.t.u. medico-legale.

Si costituiva l’Azienda ospedaliera contestando il fondamento delle domande del ricorrente e ne chiedeva il rigetto.

L’aditoTribunale di Verona, sez. Lavoro, con sentenza del 26 ottobre 2001 n.635, rigettava le domande proposte dal ricorrente nei confrontidell’Azienda,

2. Con ricorso del 21.6.2002 il dr. C. proponevaappello chiedendo che, in riforma integrale dell’impugnata sentenza,fossero accolte le domande proposte con il ricorso introduttivo eformulava istanze istruttorie, il tutto con rifusione delle spese dientrambi i gradi di giudizio.

Si costituiva ritualmente ingiudizio l’Azienda Ospedaliera Istituti Ospitalieri di Verona, inpersona del suo legale rappresentante pro-tempore, replicando alleavverse argomentazioni e chiedendo, preliminarmente, che fossedichiarata l’inammissibilità dei mezzi istruttori richiestidall’appellante e, nel merito, il rigetto del gravame e la confermaintegrale dell’impugnata sentenza, con rifusione delle spese dientrambi i gradi di giudizio.

La Corte di Appello con sentenzadel 24 gennaio – 1 giugno 2004 rigettava l’impugnazione confermandointegralmente la pronuncia di primo grado e compensando tra le parti lespese del grado.

In particolare la Corte, dopo aver premessoche per le domande di cui sopra sub a) e b) c’era stata acquiescenza,rivelava, quanto alle altre due domande, che le istanze istruttorieerano tardive perché formulate non in ricorso, ma all’udienza del27.6.2001; né il giudice era tenuto ad attivare i poteri d’ufficio exart. 421 c.p.c.

Osservava che la invocata sentenza del Taraveva accertato che il ricorrente aveva diritto ad essere nuovamentevalutato, ma non c’era stato alcun accertamento della dequalificazionedenunciata. Quanto all’allegato demansionamento (con riferimentoall’ordine di servizio del 17.10.1997): la Corte riteneva che eramancata la prova dell'”inferiorità” delle mansioni svolte. Parimentimancava la prova del demansionamento quanto al periodo precedente al1997; in particolare la lettera del direttore generale del 1996 eragenerica. In ogni caso non sussisteva la prova del danno alla salute el’inchiesta interna della Commissione amministrativa del 29.11.1996aveva in sostanza evidenziato un’irriducibile incompatibilità tra ilricorrente ed il prof. Z. e quindi aveva concluso proponendo lospostamento del ricorrente ad altro incarico.

3. Avverso questa pronuncia propone ricorso per cassazione il C. con quattro motivi, illustrati anche da successiva memoria.

Resiste con controricorso l’Azienda Ospedaliera intimata.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è articolato in quattro motivi.

Conil primo motivo il ricorrente deduce l’omessa, insufficiente econtraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia conriferimento alle censure inerenti all’art. 2087 c.c. e alla denunciatacondizione di mobbing, nonché la violazione degli artt. 2087 c.c. e 112c.p.c. In particolare si duole della mancata motivazione in ordine alladomanda di accertamento del mobbing; la sentenza motiva solo sulladequalificazione; manca una valutazione complessiva dei fatti.

Conil secondo motivo il ricorrente deduce l’omessa, insufficiente econtraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia conriferimento alle censure inerenti al demansionamento, nonché violazionedegli artt. 2103 c.c. e 56 d.lgs. n. 29/93. Sottolinea che il dr. C. èrimasto forzatamente inattivo dal 1993 al 1997. Richiama l’ordine diservizio del 9.6.1993 di rimozione dall’incarico dirigenziale fino aquel momento ricoperto e del 25.6.1993 di rinvio della nuovaassegnazione al servizio automazione; la diffida dall’avv. Michelon perC. del 9.9.1994; la nota del direttore generale del 19.6.1996 aldirettore del Laboratorio chimico ed ematologico che aveva denunciatoil persistere della situazione di inattività e da ciò la valenzaconfessoria di tale nota; la deliberazione del 7.10.1997 del direttoregenerale che definisce l’assetto organizzativo del Dipartimento dianalisi chimiche ed ematologiche; l’ordine di servizio del 17 ottobre1997 del direttore sanitario di assegnazione all’incarico dicoordinatore del Gruppo operativo controllo di qualità (incarico privodi effettivo contenuto); la nota del 14.3.2001 del direttore generaledi cessazione di quest’ultimo incarico e trasferimento alla medicinadel lavoro.

Con il terzo motivo il ricorrente deduce l’omessa,insufficiente e contraddittoria motivazione in ordineall’interpretazione della sentenza del Tar Veneto n. 194 del 2001.,nonché violazione dell’art. 2087 c.c. Segnala che la sentenza avevaritenuto illegittimo l’ordine di servizio del 17.10.1997.

Conil quarto motivo denuncia la violazione degli artt. 421 e 437 c.p.c.nonché vizio di motivazione in ordine alla mancata ammissione delleprove richiesta in primo grado ed in secondo grado. Censura anche ilmancato esercizio di iniziative probatorie d’ufficio ex art. 421 c.p.c.

2. Il quarto motivo del ricorso – che va esaminato
preliminarmente in quanto logicamente precedente rispetto agli altri -non è fondato.

Come questa Corte (ex plurimis Cass., sez. un.,17 giugno 2004 n. 11353) ha già affermato, deve ribadirsi che nel ritodel lavoro il ricorrerne è tenuto ad indicare in ricorso i mezzi diprova, che devono essere specificati così come prescritto dall’art.414, n. 5, c.p.c. e che la decadenza dalle prove riguarda non solo ilconvenuto (art. 416, comma 3, c.p.c), ma anche l’attore (art. 414, n.5), c.p.c), dovendo ambedue le parti – in una situazione diistituzionale parità – esternare, sin dall’inizio, tutto ciò cheattiene alla loro difesa e specificare il materiale posto a base dellereciproche istanze. E infatti di generale condivisione in dottrina edin giurisprudenza l’assunto che l’omessa indicazione dei mezzi di provadi cui all’art. 414, n. 5, c.p.c comporta non la nullità del ricorso mala decadenza dalla possibilità – salve le previsioni dei provvedimentiistruttori di cui agli art, 420, 421 e 437 c.p.c. – di successivadeduzione delle prove nel corso del processo. È vero che, per quanto,poi, riguarda l’esercizio dei poteri d’ufficio del giudice, la cit.pronuncia delle Sezioni Unite, dopo avere evidenziato che rispetto alla(non indifferente) disponibilità della prova concessa al giudice nelrito ordinario (art. 61, 197, 116, comma 2, 118, comma 1 e 2, 213, 240,241, 253, 257, 317), detta disponibilità è nel rito del lavoro ben piùaccentuata stante il disposto dell’art. 421, comma 2, c.p.c. (ilgiudice può «disporre d’ufficio in qualsiasi momento l’ammissione diogni mezzo di prova, anche al di fuori dei limiti stabiliti dal codicecivile»), ha precisato che con detta norma si è inteso affermare che «ècaratteristica precipua del detto rito speciale il contemperamento delprincipio dispositivo con le esigenze della ricerca della veritàmateriale» di guisa che, allorquando le risultanze di causa offranosignificativi dati di indagine, il giudice ove reputi insufficienti leprove già acquisite, non può limitarsi e fare meccanica applicazionedella regola formale di giudizio fondata sull’onere della prova, ma hail potere-dovere di provvedere d’ufficio agli atti istruttorisollecitati da tale materiale ed idonei a superare l’incertezza deifatti costitutivi dei diritti in contestazione, indipendentemente dalverificarsi di preclusioni o decadenze in danno delle parti» (cfr., intali testuali termini, Cass., sez. un., 23 gennaio 2002, n. 761, cit.).

In questa sede va, dunque, ribadito che i poteri d’ufficio delgiudice del lavoro possono essere esercitati pur in presenza di giàverificatesi decadenze o preclusioni e pur in assenza di una esplicitarichiesta delle parti in causa, tenendo conto che, mentre deve essercisempre la specifica motivazione dell’attivazione dei poteri istruttorid’ufficio ex art. 421 c.p.c, invece il mancato esercizio di questi vamotivato soltanto in presenza di circostanze specifiche che rendononecessaria l’integrazione probatoria.

Correttamente quindi laCorte d’appello ha confermato la pronuncia di primo grado che avevaritenuto decaduto il ricorrente dalla prova non indicata nel ricorsointroduttivo del giudizio.

3. I primi tre motivi del ricorso – che possono essere esaminati congiuntamente – sono infondati.

4.Va premesso che si è formato il giudicato interno sulla giurisdizionedel giudice ordinario a conoscere delle domande proposte dal ricorrenteessendo mancata una specifica impugnativa in grado d’appello quantoalle domande dirette alla condanna all’assegnazione di mansionicorrispondenti all’inquadramento avuto ed alla professionalitàmaturata; nonché all’accertamento e alla condanna al pagamentodell’indennità “di risultato” nella misura massima prevista per la suaposizione funzionale per gli anni 1997, 1998 e 1999, oltre agliinteressi maturati ed alla rivalutazione monetaria. Questa Corte(Cass., sez. un., 05-02-1999, n. 36) ha infatti affermato che ilgiudicato interno sulla giurisdizione può formarsi o perché su di essail giudice abbia espressamente pronunciato e su tale capo non vi siastata impugnazione o perché, avendo il giudice pronunciato nel meritosu più capi di domanda, l’impugnazione abbia riguardato soltanto alcunidi essi, sempreché i capi non espressamente impugnati abbiano una loroautonoma rilevanza e non siano in stretta correlazione conseguenzialecon i capi oggetto di specifico gravame

5. Quanto alle altredomande dirette all’accertamento che gli atti posti in esseredall’Azienda erano da considerarsi in violazione dell’art. 2087 c.c. edell’art. 56 d.lgs. n. 29 del 1993 con conseguente condanna alrisarcimento del danno biologico subito a causa dell’illegittimocomportamento datoriale di mobbing, c’è da considerare che la sentenzaimpugnata reca essenzialmente valutazioni di merito non censurabili insede di legittimità in quanto comunque assistite da motivazionesufficiente e non contraddittoria.

Ha osservato la Corted’appello, quanto alla doglianza inerente l’erroneità della letturadella richiamata sentenza del Tar Veneto, che era stata ritenutoillegittimo l’ordine di servizio del 17.10.1997 non perchè integravauna dequalificazione del C. , ma solo perché non erano statiesplicitati i criteri della scelta operata dall’amministrazione, oltrea non essere state seguite le procedure previste per la selezione delpersonale. Talché sussisteva il diritto dell’appellante ad esserevalutato comparativamente agli altri candidati sulla base di proceduree criteri oggettivi. Nella sentenza del Tar, in particolare, si leggevache doveva ritenersi violata la disposizione che imponeva di definirein via preventiva i criteri per l’affidamento e la revoca degliincarichi dirigenziali nel rispetto dei principi, criteri e procedureprevisti dal d.lgs. n. 29 del 1993.

Parimenti di merito, equindi non censurabile nel giudizio di legittimità, è stata lavalutazione ulteriore della Corte d’appello circa la carenza probatoriain causa della dequalificazione e del demansionamento professionaleconseguente all’assegnazione all’appellante dell’incarico di”coordinatore del gruppo operativo controllo qualità”, conferitogli conordine di servizio del 17.10.1997 in ragione della totale assenza dielementi di prova che l’espletamento materiale di tale incaricocomportasse lo svolgimento di mansioni inferiori, onere probatorio dicui pur il ricorrente era gravato.

Relativamente poi aldemansionamento ed alle discriminazioni datoriali anteriori, risalentinel tempo sino all’ottobre 1997, ha osservato la Corte, che la piùvolte richiamata nota del Direttore Generale dell’Istituto Ospedaliero19.4.1996 indirizzata al Prof. Z. , quale Direttore Laboratorio ChimicaClinica ed Ematologia Ospedale Policlinico non individuavaspecificamente la materialità dei fatti eventualmente accertati ecomprovava solo una situazione antecedente ed indeterminatatemporalmente; nonché la nota direzionale si limitava in fondo arichiamare il disposto dell’art. 29 del D.P.R. n.. 761 del 1979 e lemansioni che il dott. C. aveva diritto ad esercitare. La Corted’appello ha poi anche osservato che la Commissione amministrativacostituita in data 29.11.1996 che, dopo la segnalazione di irregolaritàdel laboratorio da parte del dott. C. nel 1993, aveva espletato unaindagine all’interno del nosocomio, aveva concluso in data 21.1.1997rilevando una situazione di buona organizzazione e gestione nonché dipalese credibilità dei risultati del Laboratorio stesso. Non si eranoaltresì rilevati né sprechi né segnalazioni di disservizi di utenti.Invece – osservava la Corte d’appello – dagli atti della Commissioneemergeva una assoluta incompatibilità fra il Prof. Z. ed il dott. C.che rendeva assolutamente problematico una stretto rapporto dicollaborazione tra i due. Pertanto la Commissione aveva propostol’attribuzione al dott. C. un incarico di Staff alla DirezioneSanitaria Aziendale. In sintesi la Corte d’appello, con valutazione dimerito non censurabile in sede di legittimità, ha concluso che eranomancati totalmente riscontri probatori atti a consentire qualsivogliavalutazione delle ulteriori mansioni svolte dal dott. C. .

6.In sintesi i tre motivi del ricorso contengono censure in fatto cheesprimono un mero dissenso in ordine alle valutazioni di meritocompiute dalla Corte d’appello.

Il ricorso va quindi nel suo complesso rigettato.

Allasoccombenza consegue la condanna del ricorrente, al pagamento dellespese processuali di questo giudizio di cassazione nella misuraliquidata in dispositivo.

P.Q.M.

LaCorte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento dellespese di questo giudizio di cassazione liquidate in euro 22,00 oltreeuro 3.000,00 (tremila) per onorario d’avvocato ed oltre Iva, Cpa espese generali.

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