L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. Nero, sommerso, precario, che non c’è e che quando c’è magari è molesto. Secondo quanto denunciano i sindacati, il mobbing colpisce oltre 2 milioni di lavoratori italiani, il 9-10% del totale. Ma il numero delle persone coinvolte sale a 6 milioni se si considerano i familiari interessati nel dramma del lavoratore sottoposto a soprusi.
Tali dati sono però in controtendenza rispetto a quelli ufficiali sul fenomeno che risalgono al 2000. E infatti secondo la Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di lavoro con sede a Dublino, l’Italia appare ultima tra gli altri Paesi europei per quanto riguarda la diffusione del mobbing con il 4,2% di casi; guidano la classifica la Gran Bretagna con il 16%, la Svezia e la Francia con il 10%, seguite dall’Irlanda con il 9%.
Dal 1996 a oggi si sono rivolti alla Clinica del lavoro di Milano diretta dal professor Renato Gilioli e sono risultati affetti da alcuni disturbi più direttamente riconducibili all’origine lavorativa oltre 4mila soggetti. Sulla base dei dati raccolti, Sda Bocconi ha realizzato una ricerca i cui risultati sono stati in parte anticipati e dalla quale emerge che, contrariamente a quanto avviene in Europa, la vittima prevalente del mobbing non è una donna, bensì un uomo.
Il mobbizzato tipo è provvisto di un titolo di studio abbastanza elevato: ha un diploma superiore nel 50% dei casi. Il 42 % dei lavoratori colpiti da molestie sul lavoro sono inquadrati nella categoria degli impiegati e hanno un’età compresa tra i 30 e i 50 anni e nel 40% dei casi è appartenente al settore del pubblico impiego.
Ma che cos’è il mobbing? Secondo una definizione comunemente accettata, consiste in un comportamento ripetuto, immotivato rivolto contro un dipendente o un gruppo di dipendenti, tale da creare un rischio per la salute e la sicurezza. Stress, depressione, calo dell’autostima, disturbi del sonno, problemi a carico dell’apparato digerente sono le conseguenze più frequenti. Dal mobbing derivano costi anche a carico dell’azienda in cui il fenomeno si verifica: maggior assenteismo e minore produttività non solo da parte delle vittime ma anche dei colleghi di lavoro, che risentono del clima psicosociale negativo dell’ambiente.
Attualmente pochi Paesi europei hanno adottato una legislazione specifica in materia di mobbing sul posto di lavoro, anche se il Parlamento europeo ha emanato una recente direttiva per gli Stati membri affinché le organizzazioni pubbliche e private attuino efficaci politiche sociali di prevenzione, perché vengano individuate procedure per risolvere il problema e perché venga messa a punto una puntuale formazione ed informazione nei confronti dei lavoratori dipendenti, delle parti sociali, dei medici del lavoro.
In Italia, dallo scorso anno una bozza di legge sul mobbing definiva il fenomeno come “la violenza morale o psichica in occasione di lavoro: atti, atteggiamenti o comportamenti di violenza morale ripetuti nel tempo in modo sistematico o abituale, che portano ad un degrado delle condizioni di lavoro idoneo a compromettere la salute o la professionalità o la dignità del lavoratore”. La bozza prevedeva che il lavoratore potesse ricorrere al tribunale del lavoro e indicava gli strumenti oggettivi di misurazione del mobbing, come il questionario sullo stress da lavoro, i test proiettivi, il questionario dei disturbi soggettivi e quello del tono dell’umore. Il mobbing non è ancora menzionato nelle nostre leggi, ma esistono norme di tutela dei lavoratori che possono essere richiamate nel caso si verifichi.
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