TFR, pagamento, Inps, esecuzione infruttuosa

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Sentenza 25 novembre 2008 – 19 gennaio 2009, n. 1178

(Presidente Mercurio – Relatore Di Nubila)

Svolgimento del processo

1. Con ricorso depositato in data 11.1.2002, S. R. conveniva l’INPS dinanzi al Tribunale di Nocera Inferiore ed esponeva di avere prestato lavoro dipendente presso la ditta Di Martino Maria Teresa dal 1.7.1987 al 22.11.1990. Alla fine del rapporto di lavoro non aveva percepito l’indennità di anzianità, che era stata riconosciuta ed accertata dal Pretore con sentenza definitiva in data 4.4.1996. Promossa esecuzione mobiliare in danno della debitrice, il Giudice dell’esecuzione, con ordinanza 8.4.1998, dichiarava l’incapienza del ricavato dalla vendita dei beni pignorati. Presentava quindi domanda all’INPS quale gestore dell’apposito fondo di garanzia, per conseguire quanto dovuto.

2. Previa costituzione ed opposizione dell’INPS, il Tribunale respingeva la domanda attrice.

Proponeva appello la S. e la Corte di Appello di Salerno confermava la sentenza di primo grado così motivando:

– a sensi della Legge n. 297.1982, quando il datore di lavoro è soggetto a fallimento, al fine di provocare l’intervento del Fondo è necessario che venga aperta una procedura concorsuale;

– il quinto comma del predetto articolo regola una diversa fattispecie, la quale presuppone che il datore di lavoro non sia soggetto alle disposizioni della Legge Fallimentare: in tal caso occorre procedere infruttuosamente ad esecuzione forzata;

– il lavoratore deve provare, in quest’ultimo caso, l’insolvenza del datore di lavoro e la mancanza di qualsiasi garanzia patrimoniale;

– nella specie, risulta che la Di Martino era assoggettabile alla procedura fallimentare, ma ha cessato l’attività il 31.12.1990, con la conseguenza che al momento in cui veniva emanata la sentenza del Pretore (la quale riconosceva il diritto all’indennità di anzianità), essa in concreto non poteva più essere dichiarata fallita, a sensi dell’art. 10 della Legge Fallimentare;

– la mancata apertura della procedura fallimentare non è ricollegabile quindi ad una condizione soggettiva del datore di lavoro e l’impedimento costituito dalla cessazione dell’esercizio dell’impresa da oltre un anno non è invocabile utilmente dalla S..

3. Ha proposto ricorso per Cassazione S. R., deducendo tre motivi. Resiste con controricorso l’INPS.

Motivi della decisione

4. Col primo motivo del ricorso, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, a sensi dell’art. 360 n. 3 CPC, dell’art. 112 Codice di Procedura Civile, per avere la Corte di Appello erroneamente ritenuto che la ditta Di Martino non poteva essere sottoposta a procedura fallimentare, circostanza questa pacifica e non contestata. Viceversa la Corte di Appello non ha tenuto conto del fatto che la ditta citata non poteva più essere dichiarata fallita.

5. Con il secondo motivo del ricorso, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, a sensi dell’art. 360 n. 3 CPC, degli artt. 112, 115, 116 Codice di Procedura Civile, 2 della Legge n. 297.1982 e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia, ex art. 360 n. 5 CPC: invero risultano insussistenti tutte le condizioni oggettive e soggettive per il fallimento della Di Martino, a prescindere dalla cancellazione dal registro delle imprese avvenuta da oltre un anno rispetto al conseguimento del titolo esecutivo.

6. Col terzo motivo del ricorso, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, a sensi dell’art. 360 n. 3 CPC, degli artt. 115, 116 Codice di Procedura Civile, 2697, 2727, 2728 Codice Civile, nonché vizio di motivazione, per avere la Corte di Appello posto a carico dell’attrice una prova impossibile e tuttavia raggiungibile attraverso presunzioni.

7. I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente, in quanto tra loro strettamente connessi. Essi risultano fondati e vanno accolti, con assorbimento del terzo motivo.

8. La Direttiva CE n. 987.1980 prevede l’intervento del fondo di garanzia quando sia stata chiesta l’apertura di un procedimento volto a soddisfare collettivamente i creditori e quando l’autorità competente ha deciso l’apertura di detto procedimento ovvero ha constatato la chiusura definitiva dell’impresa e l’insufficienza dell’attivo disponibile per giustificare l’apertura del procedimento (art. 2). La Direttiva pone quindi due ipotesi: apertura della procedura concorsuale, ovvero provvedimento dell’autorità competente che dichiara inutile aprire la procedura stessa. Appare evidente quindi l’intento del legislatore comunitario di apprestare una garanzia totale per il pagamento del TFR, sia quando viene aperta una procedura concorsuale, sia quando tale procedura non viene aperta in quanto l’impresa è definitivamente chiusa e l’attivo disponibile non giustifica tale apertura. Non rileva tanto l’assoggettabilità in astratto dell’impresa a fallimento, quanto l’insolvenza accompagnata alternativamente o da una dichiarazione di fallimento ovvero da una constatazione di inutilità di una procedura.

9. La Legge n. 297.1982, art. 2, ha previsto il pagamento del TFR da parte dell’INPS quando l’impresa sia assoggettata a fallimento ovvero quando (comma 5) il datore di lavoro, non soggetto alla Legge Fallimentare, venga sottoposto senza esito ad esecuzione forzata.

10. Una lettura della legge nazionale orientata nel senso voluto dalla direttiva consente, secondo una ragionevole interpretazione, l’ingresso ad un’azione nei confronti del fondo di garanzia, quando l’imprenditore non sia in concreto assoggettato al fallimento e l’esecuzione forzata si riveli infruttuosa. L’espressione “non soggetto alle disposizioni del Regio Decreto n. 267.1942” va quindi interpretata nel senso che l’azione ex art. 2 comma 5 della citata Legge n. 297.1982 trova ingresso quante volte il datore di lavoro non sia assoggettato a fallimento, vuoi per le sue condizioni soggettive (ad esempio, piccolo imprenditore) vuoi per ragioni ostative di carattere oggettivo (ad esempio, trattandosi di ditta individuale cessata da oltre un anno). L’imprenditore “non più” assoggettabile a fallimento va considerato come imprenditore non soggetto alla Legge Fallimentare. L’interpretazione qui accolta trova un precedente specifico nella sentenza di questa Corte 27.3.2007 n. 7466. Essa ha come risultato non solo di meglio aderire al testo della Direttiva, ma anche di eliminare una zona di non-copertura assicurativa, quando, come nella specie, il datore di lavoro è astrattamente assoggettabile a fallimento, ma il fallimento non può essere dichiarato per il decorso del tempo, mentre il lavoratore era in causa per ottenere un titolo esecutivo.

11. Il principio da affermare è il seguente: quando un datore di lavoro è assoggettabile a fallimento, ma in concreto non può essere dichiarato fallito per avere cessato l’attività di impresa da oltre un anno, esso va considerato “non soggetto” a fallimento e pertanto opera l’art. 2 comma 5 della Legge n. 297.1982, a sensi del quale il lavoratore può conseguire le prestazioni del fondo di garanzia costituito presso l’INPS alle condizioni previste dal comma stesso.

12. Ulteriore condizione prevista per il pagamento è che venga esperita una esecuzione forzata e questa non dia esito. A tal proposito Cass. 8.5.2008 n. 11379 richiede un “serio tentativo di esecuzione forzata”, con la possibilità che ne venga esperita più di una, ma sempre a condizione che esse presentino possibilità di successo, non essendo esigibile dal lavoratore che egli intraprenda azioni esecutive infruttuose o aleatorie.

Tale sentenza costituisce l’approdo finale di una serie di pronunce, le quali richiedono una esecuzione infruttuosa e non una “parvenza di esecuzione” (Cass. 2.4.2002 n. 4666); ma l’onere di procedere ad esecuzione non è richiesto quando l’esperimento dell’esecuzione forzata ecceda i limiti dell’ordinaria diligenza ovvero quando la mancanza o l’insufficienza delle garanzie patrimoniali del debitore possano considerarsi provate in relazione alle particolari circostanze del caso concreto (Cass. 17.4.2007 n. 9108). Di regola, è sufficiente una esecuzione infruttuosa (Cass. 16.1.2004 n. 625).

13. Il principio desumibile dalla giurisprudenza è il seguente: per conseguire l’intervento del fondo di garanzia a sensi dell’art. 2 comma 5 della Legge n. 297.1982, è sufficiente che il lavoratore abbia esperito infruttuosamente una procedura di esecuzione mobiliare, salvo che risultino in atti altre circostanze le quali dimostrano che (o il Fondo provi che) esistono altri beni aggredibili con l’azione esecutiva.

14. La sentenza impugnata deve essere pertanto cassata ed il processo va rinviato alla Corte di Appello di Napoli, anche per le statuizioni circa le spese. I principi da applicare sono quelli sopra evidenziati in carattere corsivo.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione

accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Napoli

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