SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Sentenza 10 aprile – 31 luglio 2012, n. 13701 (Presidente Lamorgese – Relatore Filabozzi)
Svolgimento del processo
La Corte d’appello di L’Aquila ha rigettato l’appello proposto dall’Inail avverso la sentenza del Tribunale di Chieti, con la quale era stata respinta la domanda di regresso proposta dallo stesso Istituto nei confronti di F.O. per ottenere il rimborso delle somme erogate dall’Istituto in conseguenza dell’infortunio sul lavoro subito da un dipendente della stessa ditta nel maggio 1987. A tale conclusione la Corte territoriale è pervenuta dopo aver rigettato le eccezioni di improcedibilità dell’appello e di irripetibilità delle somme pagate dall’Inail (in quanto si sarebbe trattato di pagamento di un debito prescritto) sollevate dall’appellato, ritenendo che non fosse stata raggiunta la prova della responsabilità del datore di lavoro nella causazione dell’evento dannoso (riduzione del visus a seguito della penetrazione di una scheggia di metallo durante l’esecuzione di lavori di molatura).
Avverso tale sentenza ricorre per cassazione l’Inail affidandosi ad un unico motivo di ricorso cui resiste con controricorso l’O., che ha proposto anche ricorso incidentale fondato su tre motivi. L’Inail ha depositato controricorso per resistere al ricorso incidentale. Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
Preliminarmente, deve essere disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale, ex art. 335 c.p.c, trattandosi di impugnazioni proposte avverso la stessa sentenza.
1.- Con l’unico motivo del ricorso principale si denuncia violazione degli artt. 2087 e 2697 c.c., 92, 382 e 389 d.P.R. n. 547/55, 10 e 11 d.P.R. n. 1124/65, sostenendo che la Corte territoriale, una volta accertato che il lavoratore si era infortunato servendosi di una mola di proprietà dell’O., in assenza della dimostrazione, che grava sul datore di lavoro, di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, avrebbe dovuto accogliere l’azione di regresso in quanto l’incidente si era verificato durante l’attività lavorativa e non vi era prova di una condotta abnorme del lavoratore. Spettava, dunque, al datore di lavoro dimostrare di aver predisposto le misure di sicurezza necessarie ad evitare il danno, ed in particolare di avere predisposto tutte le misure di sicurezza idonee ad impedire che le schegge della macchina smerigliatrice potessero attingere il viso del lavoratore, e non all’Istituto provare che la ditta non aveva ottemperato all’obbligo di fornire gli occhiali protettivi ai lavoratori addetti alla stessa macchina.
2.- Con il primo motivo del ricorso incidentale si denuncia violazione degli artt. 435 e 154 c.p.c. nonché di ogni altra norma e principio in tema di perentorietà del termine per la notifica dell’atto di appello e in tema di rispetto del termine ordinatorio in caso di mancanza di proroga del termine stesso, censurando la statuizione con la quale la Corte di merito ha respinto l’eccezione di improcedibilità dell’appello per l’intempestività della notificazione del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza.
3.- Con il secondo motivo del ricorso incidentale si denuncia violazione dell’art. 2940 c.c., anche in relazione all’art. 1310 c.c., nonché di ogni altra norma e principio in tema di irripetibilità del pagamento del debito prescritto, lamentando l’erroneità della statuizione con la quale è stata rigettata l’eccezione secondo cui l’Inail, liquidando la prestazione nel maggio 1993, aveva provveduto al pagamento di un debito prescritto e non poteva quindi esercitare azioni di rivalsa o di regresso in relazione al pagamento di tale debito.
4.- Con il terzo motivo del ricorso incidentale si denuncia vizio di motivazione, nonché violazione dell’art. 2735 c.c., dell’art. 116 c.p.c., nonché di ogni altra norma e principio in tema di confessione stragiudiziale e di valutazione delle prove, richiamando in sostanza quanto affermato dal giudice di primo grado in ordine al mancato raggiungimento della prova della sussistenza dell’infortunio ed al luogo in cui esso si sarebbe verificato.
5.- Esaminando nell’ordine logico le questioni proposte dalle parti, è preliminare l’esame dei motivi del ricorso incidentale.
6.- Il primo motivo del ricorso incidentale è infondato. Questa Corte ha già precisato che ne! rito del lavoro, il termine di dieci giorni entro il quale l’appellante, ai sensi dell’art. 435, secondo comma, c.p.c., deve notificare all’appellato il ricorso, tempestivamente depositato in cancelleria nel termine previsto per l’impugnazione, e il decreto di fissazione dell’udienza di discussione non ha carattere perentorio; la sua inosservanza non produce quindi alcuna conseguenza pregiudizievole per la parte, perché non incide su alcun interesse di ordine pubblico processuale o su di un interesse dell’appellato, sempre che sia rispettato il termine che ai sensi del medesimo art. 435, commi terzo e quarto, c.p.c., deve intercorrere tra il giorno della notifica e quello dell’udienza di discussione (Cass. n. 26489/2010). Nella specie, è in discussione solo il rispetto del termine di dieci giorni previsto dal secondo comma dell’art. 435 c.p.c., sicché la Corte di merito ha correttamente respinto l’eccezione di inammissibilità del gravame sollevata dall’appellato.
7- Anche il secondo motivo del ricorso incidentale non può trovare accoglimento. La Corte di merito ha respinto l’eccezione di irripetibilità delle somme corrisposte dall’Inai all’assicurato (formulata dall’appellato sul rilievo che l’Istituto avrebbe provveduto al pagamento di un debito prescritto) osservando, in sostanza, che l’appellato non era legittimato a sollevare, nei confronti dell’Istituto assicuratore, eccezioni che attenevano all’esistenza dei presupposti della corresponsione delle prestazioni previste in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, trattandosi di eccezioni che riguardavano, in realtà, il contenuto pubblicistico di un rapporto (quello intercorrente tra assicurato e Istituto assicuratore) al quale era estraneo il soggetto responsabile del danno.Il ricorrente incidentale ha censurato tale affermazione sostenendo che l’Istituto non avrebbe potuto esercitare l’azione di regresso, a ciò ostando la norma espressa dall’art. 2940 c.c. – anche in relazione al disposto di cui all’art. 1310 c.c. – quale regola di valenza generale, che opererebbe in tutti i casi di pagamento di un debito prescritto, ed affermando che dovrebbe ritenersi “ovvio che avendovi interesse, sussiste la legittimazione dell’O. alla proposizione dell’eccezione de qua”.
8.- Tali censure non possono trovare ingresso in questa sede, atteso che la decisione della Corte territoriale ha fatto applicazione del principio più volte ribadito da questa Corte (Cass. n. 6797/2003, Cass. n. 3667/96), secondo cui il responsabile del danno non è legittimato ad opporre all’Inail, che abbia corrisposto la rendita all’assicurato, l’inesistenza dei presupposti di fatto di tale erogazione o l’insussistenza degli estremi di indennizzabilità del sinistro, attenendo tali eccezioni al contenuto, di rilievo pubblicistico, del rapporto assicurativo, cui è estraneo il soggetto responsabile dell’evento dannoso.Il controricorrente non ha specificamente contestato l’esistenza dei presupposti in forza dei quali risulta astrattamente applicabile il principio al quale si è richiamata la sentenza impugnata, sicché le sue affermazioni in ordine all’esistenza di un principio di generale irripetibilità delle somme che costituiscono oggetto del pagamento di un debito prescritto ed alla legittimazione a proporre la relativa eccezione non sono in alcun modo idonee a scalfire le argomentazioni addotte dalla Corte d’appello a fondamento della statuizione resa sul punto e, così, ad investire validamente la ratio decidendi della sentenza impugnata.
9.- Sono, infine, inammissibili le censure formulate con il terzo motivo del ricorso incidentale, con il quale vengono proposte questioni, come quella relativa all’esatta individuazione del luogo dell’incidente, che non risultano trattate nella decisione sottoposta a gravame, non avendo, peraltro, il controricorrente indicato chiaramente se e in quale modo tali questioni siano state sottoposte all’esame del giudice d’appello.
10.- Il ricorso principale è infondato.Deve innanzi tutto ribadirsi – come questa Corte (cfr. Cass. 7328/2004, Cass. n. 14270/2004, Cass. n. 2930/2005 cui adde Cass. 7127/2007, Cass. 19559/2006, Cass. 5493/2006, Cass. 4980/2006 e, più recentemente, Cass. n. 4656/2011, Cass. n. 22818/2009, Cass. n. 19494/2009, Cass. 3786/2009, Cass. 9817/2008) ha già affermato – che le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire l’insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso; ne consegue che il datore di lavoro è sempre responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente per l’imprenditore che abbia provocato un infortunio sul lavoro per violazione delle relative prescrizioni all’eventuale concorso di colpa del lavoratore, atteso che la condotta del dipendente può comportare l’esonero totale del datore di lavoro da responsabilità solo quando essa presenti i caratteri dell’abnormità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, come pure dell’atipicità ed eccezionalità, cosi da porsi come causa esclusiva dell’evento. Il comportamento imprudente del lavoratore, quando non presenti i caratteri estremi sopra indicati, può invece rilevare come concausa dell’infortunio, ed in tal caso la responsabilità del datore di lavoro può essere proporzionalmente ridotta.
11.- Nella specie, la Corte territoriale, dopo aver rilevato che, sulla base delle deposizioni dei testi escussi, doveva ritenersi provato che “gli occhiali protettivi erano costantemente a disposizione dei lavoratori e, precisamente, erano posti sulla mola a portata di mano di chi operava con tale strumento”, ha ritenuto che si fosse trattato di “un’iniziativa autonoma dello Z., quella di svolgere l’attività di molatura senza munirsi degli occhiali protettivi, i quali, se indossati, avrebbero impedito alla scheggia schizzata dalla molatrice di penetrare nel suo occhio”, escludendo così l’esistenza di un nesso causale tra la verificazione dell’evento e “la condotta omissiva del datore di lavoro (colpa in eligendo e in vigilando nei confronti del lavoratore)”. Tale valutazione non è stata efficacemente censurata dall’Istituto ricorrente, che – al di là della corretta impostazione in diritto quanto al tema della ripartizione degli oneri probatori che incombono sulle parti in materia di danno da infortunio sul lavoro – si è limitato, in realtà, ad appuntare la contestazione sui modi con i quali il giudice di merito ha proceduto alla valutazione del fatto e delle prove e a contrapporre a tale valutazione di merito operata dalla Corte d’appello una diversa valutazione delle risultanze istruttorie, senza tuttavia individuare chiaramente il fatto controverso in relazione la quale la Corte territoriale non avrebbe motivato adeguatamente la decisione (come sarebbe stato vieppiù necessario a fronte di una sentenza motivata essenzialmente sul rilievo dell’esistenza di una “iniziativa autonoma” del lavoratore quale causa esclusiva dell’evento dannoso) e senza riportare integralmente nel ricorso il contenuto delle deposizioni testimoniali che non sarebbero state adeguatamente valutate dal giudice del merito.
12.- Al riguardo va rimarcato come il ricorso per cassazione – per il principio di autosufficienza -debba contenere in sé tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ad accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito. Pertanto, il ricorrente che denuncia, sotto il profilo della omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, l’omessa o erronea valutazione delle risultanze istruttorie ha l’onere di indicarne specificamente il contenuto (cfr. explurimis Cass. n. 15952/2007, Cass. n. 4178/2007). D’altra parte, come questa Corte ha più volte avuto modo di precisare, in tema di prova, spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere tra le complessive risultanze del processo quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonché di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni (cfr. ex plurimis, Cass. n. 16499/2009). E sulla stessa linea, per quanto riguarda più specificamente la valutazione della prova testimoniale, si è precisato che la valutazione delle risultanze delle prove e il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. n. 42/2009, cui adde Cass. n. 21412/2006, Cass. n. 11933/2003, Cass. n. 9662/2001, Cass. n. 2404/2000, Cass. n. 4347/99, Cass. n. 3498/94).
13.- Nella specie, il giudice del merito, nel porre a fondamento della decisione alcune deposizioni testimoniali ed alcune risultanze probatorie invece che altre, ha indicato esaurientemente le ragioni del proprio convincimento, evidenziando anche che i testi addotti dall’Istituto avevano riferito su circostanze accertate in un momento successivo a quello dell’incidente, sicché la decisione, per essere adeguatamente motivata e coerente sul piano logico, si sottrae alle censure che le sono state mosse sul punto dal ricorrente principale in questa sede di legittimità.
14.- In definitiva, devono essere rigettati sia il ricorso principale che quello incidentale.
Sussistono giusti motivi, desumibili anche dalla reciproca soccombenza delle parti, per compensare integralmente le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi e li rigetta entrambi; spese compensate