Infortunio sul lavoro, datore, responsabilità, esclusione, impossibilità

SUPREMA CORTE DI CASSZIONE

SEZIONE IV PENALE

Sentenza 29 aprile – 6 settembre 2011, n. 33149

(Presidente Brusco – Relatore Casella)

Ritenuto in fatto

Con sentenza in data 5 luglio 2010, la Corte d’appello di Firenze, riformando la sentenza 26 maggio 2009 del Tribunale di Pisa, assolveva M. M.con la formula: “perché il fatto non sussiste”, ex art. 530 cpv. cod. proc. pen., dal delitto di cui agli artt. 590, 3° comma, in relazione all’art. 583 n.1 cod. pen., perché, in qualità di datore di lavoro responsabile della ditta T. s.r.l. di Vicopisano, per colpa generica e specifica ( per violazione dell’art. 35 del D.l.vo n. 626 del 1994 ) cagionava, il 31 gennaio 2006, al dipendente F. S. lesioni personali gravi di durata superiore a giorni 40, consistite nell’amputazione della mano destra, concorrendo causalmente nella condotta imprudente della stessa parte offesa. In particolare il M. aveva omesso di sottoporre alla necessaria, periodica manutenzione, la macchina sezionatrice marca Casadei, determinandone il difettoso funzionamento costituito dal reiterato, mancato azionamento del blocco di sicurezza della lama, causato dalla insufficiente lubrificazione dei circuiti. Il dipendente si era procurato le suddette lesioni avendo imprudentemente e negligentemente inserito la mano destra sotto il piano di lavoro, nel tentativo di eliminare gli ” sfridi ” del pannello appena tagliato, venendo in tal modo a contatto con la lama rimasta sollevata ed in rotazione ancorchè la lavorazione fosse terminata.

La Corte d’appello di Firenze, difformemente da quanto ritenuto dal Tribunale, aveva giudicato non provata, al di là di ogni ragionevole dubbio, la responsabilità concorrente del datore di lavoro. L’addebito di aver omesso di eseguire la programmata manutenzione alla macchina sezionatrice (integrante la colpa specifica contestata ) era stato smentito, secondo i Giudici d’appello, dall’esito dell’esperimento giudiziale effettuato dal consulente del P.M. che aveva sottoposto il funzionamento del meccanismo della barra di sicurezza alle necessarie prove, constatando che, per 20 – 30 volte, il dispositivo aveva regolarmente funzionato, provvedendo a bloccare la sega rotante ed a farla rientrare al di sotto del piano si lavoro. Né tale ricostruzione del fatto – diversa da quella desumibile dal racconto della parte offesa che per assuefazione al rischio o per disattenzione ebbe ad infilare la mano destra nell’alloggiamento della sega rotante mentre il disco era ancora in movimento, senza prima azionare la barra di sicurezza o premendola simultaneamente – aveva giudicato la Corte distrettuale incompatibile con la larghezza di soli 5 cm. dello spazio esistente tra la barra di pressione ed il piano di lavoro,come tale invece sufficiente all’introduzione della mano dell’operaio, tanto più che solamente le dita della mano erano venute a contatto con la sega rotante, essendosi resa necessaria l’amputazione dell’arto all’altezza del polso, per successive complicazioni.

Ricorre per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Firenze articolando un unico motivo ex art. 606 lett. B) e lett. E) codice di rito, così sintetizzato.

Sostiene il ricorrente che la prima ipotesi di ricostruzione alternativa dell’episodio – relativa all’inserimento delle dita sotto il pressare, senza azionare la barra di sicurezza – avrebbe dovuto esser esclusa dall’impossibilità per la parte offesa di inserire le dita, tra l’altro coperte di guanti, in uno spazio che non poteva esser maggiore dell’altezza della tavola di legno cui il F. stava lavorando in quel momento, pari a circa 2 cm. come accertato dal consulente del P.M. Secondo la deposizione del C. – ufficiale di P.G. della USL n. 5 di Pisa – sarebbe stato impossibile per un operatore, inserire la mano all’interno della macchina (a pressare abbassato), risultando quindi la zona di lavoro protetta.

Ad avviso del ricorrente, anche l’altra ipotesi alternativa della ricostruzione del fatto, prospettata dalla Corte d’appello di Firenze sulla base del gravame proposto dalla difesa, avrebbe avuto, quale logico presupposto, il mancato o ridotto funzionamento del meccanismo di protezione dovuto a carenza di manutenzione,giusta gli assunti dell’accusa, visto che l’acclarato ritardo nella scomparsa della lama rotante era conseguenza dei movimenti di abbassamento o di innalzamento impressi al carrello mobile ove la stessa era alloggiata, a loro volta dovuti all’azionamento di un pistone collocato in un cilindro pneumatico nel quale scorreva aria compressa, come accertato dal consulente del P.M. ing. F. Questi aveva riscontrato la presenza di olio e di polveri all’interno del filtro deputato a filtrare e lubrificare l’aria compressa che attivava tutti i dispositivi pneumatici della macchina, a cagione dell’omessa pulizia e manutenzione dello stesso, attesa peraltro la vetustà della macchina già in uso nel 1988.

Evidenzia infine il ricorrente che la Corte distrettuale era pervenuta all’assoluzione del datore di lavoro non verificando peraltro se di tale condotta imprudente del lavoratore ( che aveva riferito che gli “sfridi ” della lavorazione del legno non potevano esser rimossi se non inserendo la mano nella zona di normale funzionamento della lama dopo la sua scomparsa) dovesse rispondere l’imputato per aver omesso di procedere ad un’adeguata formazione dei dipendenti, avallando in tal modo il perpetuarsi di una prassi palesemente pericolosa in caso di mancato funzionamento – anche se occasionale – del congegno di sicurezza della macchina sezionatrice.

Conclusivamente, chiede il Procuratore Generale ricorrente l’annullamento con rinvio dell’impugnata sentenza.

Considerato in diritto

Il ricorso è fondato e merita accoglimento essendo la Corte distrettuale incorsa, nella redazione del provvedimento impugnato, nei vizi denunciati.

I Giudici d’appello hanno invero ritenuto di mandare assolto l’imputato dall’addebito ascrittogli sul presupposto della insufficienza della prova che alla produzione dell’infortunio potesse aver concorso, oltre alla grave imprudenza commessa della stessa parte offesa, anche l’omessa sottoposizione della macchina sezionatrice a regolare manutenzione, sia nella componente meccanica che in quella elettrica (chiaramente incombente, ex art. 35 D.l.vo n. 626 del 1994, all’imputato, quale datore di lavoro) atteso il regolare funzionamento dei presidi di sicurezza,accertato dal consulente del P.M., per avere, per 20/30 volte, la barra di sicurezza della macchina provveduto a bloccare la sega rotante facendola rientrare sotto il piano di lavoro, non ostando all’eventuale inserimento della mano dell’operaio tra la barra di pressione ed il piano di lavoro, uno spazio largo solamente 5 cm. Sicchè la Corte distrettuale ha ipotizzato che l’evento risalisse esclusivamente alla condotta imprudente della stessa parte offesa che “per assuefazione al rischio o per disattenzione [ aveva ] infilato la mano per togliere il pezzo di legno, senza prima azionare le barra di sicurezza o premendola simultaneamente all’ingresso della mano nell’alloggiamento della sega rotante così restandovi impigliata,mentre era ancora in funzione ” .

Critica fondatamente il ricorrente Procuratore Generale siffatto passaggio motivazionale della sentenza impugnata, evidenziandone l’apoditticità ed il contrasto con le altre risultanze processuali anche nell’ottica di un’erronea applicazione della normativa in materia di nesso di causalità, in presenza di più fattori concausali.

Ed invero la plausibilità di siffatta ricostruzione dell’accaduto (che implica la completa svalutazione della deposizione testimoniale della parte offesa che aveva riferito di aver alzato la barra di sicurezza senzachè la stessa si arrestasse, ex se non tacciabile di inattendibilità, non essendosi neppure costituita parte civile nel processo e quindi da presumersi veritiera fino a prova contraria) è fortemente messa in dubbio dalla impossibilità per le dita nodose dell’operaio, peraltro coperte da guanti di lavoro, di interporsi all’interno della macchina tra pressare e piano di lavoro in uno spazio non superiore a cm. DUE (come verificato dal consulente del P.M. ) – e non di CINQUE cm. come si assume nella sentenza impugnata – ovvero pari all’altezza del pannello di legno cui il F., al momento dell’incidente,stava lavorando.

Ma la parte offesa – evidenzia opportunamente il ricorrente – non avrebbe potuto infilare l’intera mano (sì da subire poi l’amputazione non solo delle cinque dita, ma anche dell’arto,fino al polso ) in tale esiguo spazio, nel perdurante, simultaneo funzionamento della macchina. Il che logicamente avrebbe dovuto indurre a ritenere che l’operaio ebbe previamente ad azionare la barra di sicurezza, essendo impossibile per l’operatore inserire la mano all’interno della macchina a pressare abbassato, come dichiarato dall’u.p.g. C. Non può quindi dirsi la sentenza impugnata, a tale riguardo, obiettivamente immune dal vizio di illogicità o quantomeno di difetto di approfondita valutazione e confutazione degli obiettivi dati di fatto evidenziati dall’istruttoria.

Egualmente i Giudici di secondo grado sarebbero incorsi nel denunziato vizio motivazionale, ad avviso del ricorrente,avendo obliterato di considerare che, attesa la ricorrenza della riferita prova logica, l’avvenuto azionamento – riferito dalla parte offesa – della barra di emergenza (che determinava la scomparsa della lama rotante dal piano di lavoro e la sospensione dell’attività della macchina) avrebbe dovuto determinare quasi simultaneamente o comunque in un brevissimo spazio temporale la scomparsa della lama, dovendo il meccanismo compiere una corsa ridottissima di 5 o 6 cm, come ancora accertato dall’u.p.g dell’USL n. 5 di Pisa e dal consulente del P.M.; ciò ovviamente a condizione che il suddetto congegno di sicurezza avesse regolarmente funzionato.

Poiché era assai verosimile credere che l’infortunio si fosse verificato a cagione del ritardato o del ridotto funzionamento del meccanismo di protezione (avendo invece la parte offesa fatto affidamento sulla tempestività di esecuzione del comando trasmesso al macchinario, inserendo quindi repentinamente, con gesto quanto mai imprudente, la mano al di sotto del piano di lavoro quando invece la sega rotante era ancora in movimento a cagione dell’anomala ” risposta ” del congegno) non sarebbe stato possibile escludere che causa di ciò fosse stato un difetto di manutenzione ( colposamente omessa dall’imputato cui incombeva), in riferimento, in ipotesi, all’omessa pulizia del filtro dell’aria compressa usata dall’apposito pistone per alzare od abbassare la lama circolare e che quindi condizionava il regolare funzionamento della lama rotante e del sistema di blocco della stessa, come accertato dal consulente del P.M. e di cui dà atto la motivazione della sentenza di primo grado.

La sentenza impugnata va in conclusione annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Firenze che, attenendosi ai principi fin qui illustrati, procederà ad un nuovo esame delle risultanze, previo migliore approfondimento e verifica dei dati di fatto obiettivi e rilevanti da porre a base di argomentazioni immuni dai denunziati vizi.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Firenze

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