SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Sentenza 21 dicembre 2010, n. 25865
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. Con sentenza del 13 febbraio 2006, la Corte d’Appello di Bologna respingeva il gravame svolto da Poste Italiane spa contro la sentenza di primo grado che aveva accolto la domanda del dipendente I. per la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno differenziale, conseguente all’infortunio dal quale erano conseguiti postumi non superanti la soglia del 10% e, pertanto, non indennizzabili dall’INAIL. 2. La Corte territoriale, a sostegno del decisum, riteneva:
– acclarato il nesso causale, sul piano medico legale, tra l’infortunio occorso al lavoratore (caduto dalla scala nel trasportare materiale ingombrante) e la subatrofia ottica di indubbia origine traumatica con percentuale di valutazione del danno del 5%;
– non acclarata la circostanza, dedotta dal datore di lavoro, di aver imposto la compresenza di due dipendenti per il trasporto di materiale ingombrante;
– acclarata l’adozione, solo dopo l’infortunio, di una circolare in merito alla necessità di modificare almeno uno dei montacarichi in servizio (incontestata la circostanza del funzionamento limitatamente ad un solo piano) e all'”urgente necessità” di installare strisce antisdrucciolo anche sui gradini della scala interna di accesso ai locali, in considerazione dell’incremento progressivo dell’attività di riparazione e manutenzione di apparecchiature di rilevanti dimensioni;
– la pericolosità del trasporto del materiale ingombrante anche in compresenza di altro lavoratore, come emerso dalle risultanze istruttorie;
– la decadenza della società per non aver richiesto di provare circostanze escludenti la responsabilità datoriale;
– la congruità dell’esame peritale svolto in primo grado, non censurato specificamente in quel grado, nè in grado d’appello.
3. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, Poste Italiane spa propone ricorso per cassazione fondato su due motivi.
L’intimato ha resistito con controricorso.
4. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2087 c.c. in relazione al D.Lgs. n. 626 del 1994 e al D.P.R. n. 547 del 1955 (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4), per aver assunto la mancanza delle strisce antisdrucciolo come elemento esclusivo fondante la responsabilità datoriale per l’infortunio, senza accertare se il comportamento arbitrario del lavoratore avesse posto in essere una causa interruttiva del nesso eziologico fra lavoro, rischio, evento.
5. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5), per aver i giudici del gravame immotivatamente disatteso il motivo d’appello fondato sulla circostanza che il consulente tecnico d’ufficio non avesse acclarato il nesso causale tra la caduta dalla scala e la subatrofia ottica e avesse concluso, pur a fronte delle riserve espresse sull’eziologia traumatica, con un innalzamento della precedente valutazione; infine, per aver ritenuto non acciaiata la circostanza relativa alla prescrizione della compresenza di due lavoratori per il trasporto del materiale ingombrante.
6. In via preliminare va disattesa l’eccezione formulata dalla difesa del controricorrente, nel corso della discussione, in ordine alla prova del potere rappresentativo del procuratore speciale, avv. S.A., che ha conferito la procura speciale per il giudizio di cassazione, a norma dell’art. 365 c.p.c., all’avv. U.A.M.. La procura speciale con la quale il Presidente della società ha conferito il potere di rappresentanza al predetto avvocato S., a mezzo di atto notarile specificamente indicato a margine del ricorso per cassazione, è stata depositata, dalla ricorrente, contestualmente al ricorso per cassazione.
7. Il primo motivo è infondato. La responsabilità ex art. 2087 cod. civ. è, di carattere contrattuale, in quanto il contenuto del contratto individuale di lavoro risulta integrato per legge (ai sensi dell’art. 1374 cod. civ.) dalla disposizione che impone l’obbligo di sicurezza e lo inserisce nel sinallagma contrattuale, sicchè il riparto degli oneri probatori nella domanda di danno differenziale da infortunio sul lavoro si pone negli stessi termini che nell’art. 1218 cod. civ. sull’inadempimento delle obbligazioni. Ne consegue che il lavoratore deve allegare e provare l’esistenza dell’obbligazione lavorativa, del danno ed il nesso causale di questo con la prestazione, mentre il datore di lavoro deve provare che il danno è dipeso da causa a lui apprestando tutte le misure per evitare il danno (ex multis, Cass. n. 9817/2008). Nella specie i giudici del gravame hanno ritenuto la società decaduta dalla prova delle circostanze in fatto escludenti la responsabilità datoriale e la censura formulata avvero la decisione d’appello, con riferimento alla deduzione delle prescrizioni, concernenti l’urgente necessità di procedere all’installazione di strisce antisdrucciolo sui gradini della scala, impartite in epoca antecedente all’infortunio e non già in epoca immediatamente successiva, è stata sorretta soltanto da un generico riferimento al giudizio di primo grado.
8. Anche il secondo motivo è infondato. Non incorre nel vizio di carenza di motivazione la sentenza che. recepisca, per relationem, le conclusioni e i passi salienti della relazione del consulente tecnico d’ufficio di cui dichiari di condividere il merito. Pertanto, per infirmare, sotto il profilo dell’insufficienza argomentativa, tale motivazione è necessario che la parte alleghi le critiche mosse alla consulenza tecnica d’ufficio già dinanzi al giudice a quo, la loro rilevanza ai fini della decisione e l’omesso esame in sede di decisione. Al contrario, una mera disamina, come nella specie, corredata da notazioni critiche, dei vari passaggi dell’elaborato peritale richiamato in sentenza, si risolve nella mera prospettazione di un sindacato di merito, inammissibile in sede di legittimità (ex multis, Cass. n. 10222/2009).
9. Il ricorso va quindi rigettato. Alla soccombenza consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di cassazione nella misura liquidata come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 24,00 oltre Euro 2.500,00 (duemilacinquecento) per onorari ed oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2010