Il diritto del familiare del disabile di scegliere la sede più vicina al proprio domicilio al momento dell’assunzione ovvero di non essere trasferito successivamente è assoluto o presuppone la compatibilità con le esigenze aziendali?
La legge n. 104/1992, che predispone una normativa volta a tutelare le persone affette da handicap, ha sollevato diversi profili di rilevanza nel campo del diritto del lavoro. Un quesito emerso in sede di applicazione della citata legge è se l’art. 33 della stessa, nel prevedere il diritto del parente della persona affetta da handicap di scegliere la sede più vicina al proprio domicilio al momento dell’assunzione ovvero di non essere trasferito da essa successivamente, attribuisca un diritto incondizionato, oppure se vi siano dei casi in cui tale posizione soggettiva venga meno a fronte di esigenze aziendali.
In proposito la giurisprudenza rileva che l’art. 33, comma 5, della legge n. 104/1992 attribuisce il diritto di scelta “ove possibile”, il che significa che tale diritto non sussiste qualora vi si oppongano circostanze oggettive attinenti all’organizzazione aziendale, ovvero se la collocazione indicata dall’interessato determini un apprezzabile aggravamento della struttura dell’azienda (cfr. Trib. Bari, 25 ottobre 1999, in Not. giur. lav., 2000, 77; Trib. Roma, 12 giugno 1999, in Mass. giur. lav., 1999, 913; Tar Sicilia, 22 luglio 1998, n. 1580, in Giust. amm. sic., 1998, 1028). La Suprema Corte ha confermato tale indirizzo, sancendo il principio secondo cui l’art. 33, comma 5 della legge n. 104/1992 dev’essere interpretato nel senso che il diritto del genitore o del familiare lavoratore dell’handicappato non è assoluto, ma presuppone, oltre agli altri requisiti esplicitamente previsti dalla legge, altresì la compatibilità con l’interesse comune, posto che secondo il legislatore il diritto all’effettiva tutela dell’handicappato non può essere fatto valere quando il relativo esercizio venga a ledere in misura consistente le esigenze economiche ed organizzative del datore di lavoro, in quanto ciò può tradursi in un danno per la collettività (Cass., 29 agosto, 2002, n. 12692, in Mass. giur. lav., 2002, 764).
In motivazione la pronuncia della Corte di Cassazione citata osserva altresì che la legge n. 104/1992 rappresenta un intervento normativo ad ampio raggio per la tutela delle persone affette da handicap, e non già una misura prettamente giuslavoristica. In tale quadro taluni benefici indiretti, ottenibili agevolando il familiare della persona invalida, al fine di favorire il rapporto con quest’ultima, rientrano in misure volte ad eliminare ostacoli ad una piena realizzazione della personalità dei beneficiari ultimi della disposizione di legge, ossia coloro che sono colpiti da particolari menomazioni.
Dal rilievo della Corte di Cassazione si può argomentare che le misure di sviluppo sociale, il cui costo deve incidere sulla generalità dei consociati, non possono farsi ricadere in misura eccessivamente pesante sul singolo soggetto privato e quindi, nel caso di specie, sul singolo datore di lavoro. Il che viceversa accadrebbe qualora, appunto, vi fossero concrete ed oggettive esigenze organizzative di segno contrario, il cui mancato rispetto determinerebbe un pregiudizio all’attività dell’impresa. Nel caso concreto la Corte di legittimità ha confermato la correttezza del giudizio del Tribunale, che aveva accertato che il familiare della persona affetta da handicap non poteva essere collocato ad un posto diverso da quello assegnato, poiché il medesimo in tale sede ricopriva la posizione di direttore dell’ufficio, con mansioni particolarmente delicate, e non v’era altro personale idoneo a sostituirlo con equivalente professionalità. D’altra parte, sempre nell’accertamento compiuto dai Giudici di merito, la sede richiesta dal lavoratore non poteva ricevere un’altra postazione lavorativa, essendo ad organico completo, se non compromettendo la funzionalità dell’attività.
Giova rilevare la notevole rilevanza che riveste, nei singoli casi concreti, la sussistenza di effettive ragioni ostative all’esercizio dei diritti di cui all’art. 33, comma 5, legge n. 104/1992, nonché, in caso di contestazione giudiziale, l’importanza di un’adeguata deduzione e documentazione delle circostanze oggettive che costituiscono la base delle suddette ragioni, al fine di ottenere il relativo accertamento giudiziale. Da siffatta indagine dipende l’esito della valutazione comparativa di interessi cui è chiamato il Giudice nell’applicazione delle norme descritte.
Settembre 2003
risposta a cura di Salvatore Trifirò, Giacinto Favalli e Francesco Rotondi
Fonte: Diritto & Pratica del lavoro – Settimanale di amministrazione e gestione del personale – Ipsoa Editore