Tribunale di Belluno
Giudice monocratico
Sentenza 30 gennaio 2007 n. 77
(Giudice Benatti)
Fatto
L’imputatafu iscritta nel r.g.n.r. il 24/9/2002 a seguito dei fatti di lesioniasseritamente cagionati ad alcuni dipendenti dalle condotte dallastessa. Nel corso delle indagini l’A.G. disponeva consulenze tecniche icui risultati, unitamente ad altre indagini espletate dalla P.G.portavano, in data 16/7/2003, alla formulazione dell’accusa relativa alreato ex art. 572 c.p.p. per il quale veniva richiesto ed ottenuto ilrinvio a giudizio dell’imputata mentre veniva rigettata una richiestadi misura cautelare. All’apertura del dibattimento un’inizialerichiesta di proscioglimento ex art. 129 c.p.p. formulata dalla difesaera rigettata, allo stato, per il mancato consenso della stessaall’acquisizione dei verbali di dichiarazioni rilasciate dai testi nelcorso delle indagini preliminari. Dopo circa dieci udienze in cuivenivano sentiti diversi testimoni, il Procuratore della Repubblicainstava per una sentenza ex art. 129 c.p.p. incontrando l’opposizionedelle parti civili costituite e l’associazione della difesa chechiedeva però l’assoluzione per insussistenza dei fatti.
Diritto
Va,innanzi tutto, escluso che vi siano ragioni di ordinelogico-sistematico, in assenza di divieti in diritto, che impediscanodi pronunciare sentenza ex art. 129 cpp nel corso del dibattimento. Seè pacifico come la norma suindicata non sia applicabile in fasepredibattimentale – se non nei casi previsti dall’art. 469 cpp(mancanza di una condizione di procedibilità o proseguibilitàdell’azione penale ovvero presenza di una causa di estinzione del reatoper il cui accertamento non occorra procedere al dibattimento) e sempreche le parti, messi in condizioni di interloquire, non siano opposte(Sez. 2, sentenza n. 48338 del 17/11/2004 Cc – dep. 15/12/2004 – Rv230692) – essa lo è senz’altro quando l’istruttoria dibattimentale siainiziata e non ancora conclusa. Un diverso argomentare finirebbe perabrogare, in via interpretativa, la locuzione «In ogni stato e gradodel processo». Va altresì condivisa l’autorevole dottrina citata dallaparte civile ove afferma la possibilità per il giudice di pronunziaretale sentenza ove, all’esito dell’escussione delle prove indicate dalPubblico Ministero, si sia rivelata una situazione probatoria talmenteinconsistente da non necessitare di ulteriori approfondimenti, essendoimprobabile che le prove indicate dalla difesa supportino la tesiaccusatoria. Nel caso di specie bisogna però evidenziare come, delle 31persone indicate come parti offese del delitto di maltrattamenti, se nesiano escusse già quindici e come ogni deposizione si sia protrattamediamente per due ore consentendo, nel contraddittorio delle parti, diaccertare con dovizia di particolari e sfumature sia la sussistenza omeno delle condotte contestate sia gli effetti delle stesse sullasituazione psicofisica delle parti offese sentite. A ciò deveaggiungersi che, tra i quindici testimoni sentiti, vi sono tutte leparti offese dei delitti di cui ai capi da B) a I) e cioè quelli che,nella prospettazione accusatoria ed evidentemente per essere tra quelliche hanno subito le più gravi vessazioni, hanno riportato lesioni e sisono determinati a querelarsi per le stesse. I testi sentiti hannoperaltro già confermato la sussistenza di tutte le condotte materialielencate nel capo d’imputazione per cui si ritiene inverosimile che lealtre decine di testi indicati possano aggiungere fatti del tutto nuovirispetto a quelli già nel patrimonio cognitivo del giudicante. Lavalutazione dell’attendibilità delle testimonianze e dell’illegittimitàdelle condotte deve poi seguire quella relativa all’odierna pronunciapoiché, per le ragioni che si vanno ad esporre, è già possibile find’ora escludere la rilevanza, ai fini dell’imputazione sub a), dellecondotte riferite dai testi. Ne deriva che la richiesta formulata dalP.M. può essere valutata, anche a fine di evitare un’istruttoria che siè rivelata lunga e complessa, sulla base degli elementi già agli attiessendo del tutto verosimile come l’escussione d’altri testi nonpotrebbe portare a conoscere di fatti nuovi, peraltro non previsti nelcapo d’imputazione.
A parere di questo Giudicante infatti, e -si ribadisce – impregiudicata ogni valutazione sulla legittimità o menodel comportamento dell’imputata sotto i vari profili di ordineamministrativo o relativi agli altri capi d’imputazione, le condotte dicui al capo A), come risultano provate dalle suddette escussionitestimoniali, non consentono di fondare l’accusa per il delitto dimaltrattamenti ex art. 572 c.p..
La motivazione di tale assuntonon può prescindere da un breve richiamo alla fattispecieincriminatrice e all’interpretazione che ne viene data nella casisticagiurisprudenziale, ma tale orientamento appare del tutto indispensabileove si consideri la scarna indicazione fornita dall’art. 572 c.p..Quest’ultimo, infatti, identificato l’ambito sociale ove è possibile ilverificarsi della fattispecie, si limita a punire chi, al di fuori deicasi di cui all’art. 571 c.p., maltratta. Per quanto attiene il primoelemento non paiono sussistere dubbi sull’applicabilità della normaanche in ambiti extrafamiliari atteso che essa prevede espressamenteche i maltrattamenti possano verificarsi nei confronti di personesottoposte all’autorità del reo. La giurisprudenza ha in più occasioniritenuta la sussistenza del reato nell’ambiente di lavoro (Cass. VI n.2609 del 5/9/96, e quella, pluricitata dalle parti civili, Cass. VI n.10090 del 12/3/2001) e non vi sono quindi, in linea di principio,ragioni per discostarsi da tale impostazione pur tenuto conto dellepeculiarità che l’impiego pubblico ha rispetto a quello privato,caratteristico di pressoché tutte le pronunce in materia.
Problematicaè invece, soprattutto nei casi quale il presente, l’interpretazione delconcetto sotteso al maltrattare. Lo sforzo costante di dottrina egiurisprudenza è stato rivolto a riempire di significato una locuzionetalmente generica da produrre seri dubbi di costituzionalità in unsistema basato sul principio di tassatività. Si sono così avute diversedefinizioni che però concordano, abbastanza unanimemente, sullasussistenza di ledere l’integrità fisica e il patrimonio morale delsoggetto passivo, sì da sottoporlo ad un regime di vita dolosamentevessatorio. La giurisprudenza ha poi individuato i fatti rilevanti atal fine nelle: ingiurie, violenza, lesioni, minacce, patemi d’animo,sofferenze morali, definendo abitualmente il delitto come costituito dauna condotta abituale che si estrinseca con più atti, delittuosi omeno, che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati inmomenti successivi ma collegati da un nesso di abitualità ed avvintinel loro svolgimento da un’unica intenzione criminosa di lederel’integrità fisica o il patrimonio morale del soggetto passivo, cioè,in sintesi, di infliggere abitualmente tali sofferenze (Sez. 5,sentenza n. 2130 del 09/01/1992 Ud. – dep. 28/02/1992 – Rv 189558; Sez.6, sentenza n. 4636 del 28/02/1995 Ud. – dep. 27/04/1995 – Rv 201148).
Deveora porsi il problema della configurabilità del reato quando, come nelcaso di specie, si prescinde da qualsiasi forma di violenza fisica o dioffese all’onore e al decoro della persona contestando all’imputatoesclusivamente comportamenti vessatori sotto il profilo morale.L’accusa sopraindicata, infatti, contesta sostanzialmente un abuso ecioè l’utilizzo sviato dei poteri del dirigente all’esclusivo fine dinuocere ai dipendenti.
La quasi totalità della giurisprudenza inmateria di maltrattamenti equipara, in via di principio, le lesioni delpatrimonio morale a quelle dell’integrità fisica, ma ove si abbiariguardo ai casi concreti si verifica come siano pressoché inesistentile ipotesi nelle quali l’assenza di
violenze fisiche e offese all’onoree alla reputazione concreta l’ipotesi delittuosa. Proprio lagiurisprudenza citata nelle memorie prodotte dalle parti civili èsintomo di tale situazione. Si veda ad esempio la già richiamatasentenza Cass. Pen. VI n. 10090 del 12 marzo 2001 che è statacorrettamente indicata come il cardine dell’applicabilità al mondo dellavoro di una fattispecie incriminatrice quale quella in esame. In quelcaso però si trattava di un rapporto di lavoro privato, irregolare,presentante un rapporto interpersonale: «particolarmente intensopoiché, a parte il contatto quotidiano dovuto a ragioni di lavoro, nelcorso delle lunghe trasferte, viaggiando su un unico pulmino,consumando insieme i pasti e alloggiando nello stesso albergo, sirealizzava tra le parti un’assidua comunanza di vita». La totaleestraneità di tali fatti al presente procedimento è poi categoricamenterimarcata dal sussistere, nel caso all’esame del Supremo Collegio, dicondotte del tutto peculiari quali: «…schiaffi, calci, pugni, morsi,insulti, molestie sessuali e, non ultima, la ricorrente minaccia ditroncare il rapporto di lavoro senza pagare le retribuzioni pattuite…aveva ridotto i suoi dipendenti, tra i quali una minorenne, in unostato di penosa sottomissione e umiliazione, al fine di costringerli asopportar ritmi di lavoro forsennati, essendo il profitto dell’impresadirettamente proporzionale al volume delle vendite effettuate». Nonmette conto aggiungere altro per evidenziare come la situazioneriprodotta non abbia alcuna relazione con il processo in corso.
Lapronunzia di merito, del pari citata nelle memorie delle parti civili(Gip Trani 27/10/05) e proveniente da un noto articolo di dottrinacomparso su una diffusa rivista nello scorso autunno, identificaanch’essa un comportamento che solo velatamente può affiancarsi aquanto viene contestato al capo A). Pur senza nulla sapere in ordine alquel procedimento, va rimarcato come quel giudice abbiacondivisibilmente ritenuto che il c.d. mobbing possa concretare ildelitto di maltrattamenti con comportamenti «non solo, e nonnecessariamente, violenti, ma anche di carattere vessatorio dal puntodi vista morale, con continui rimproveri e insulti, con lo sfruttamentomorale e fisico di altra persona sottoposta ad autorità…» sicché ilcommentatore chiosa la citazione evidenziando come, in tal caso,l’abuso d’autorità da parte del datore di lavoro avvenga «…per puroscopo emulativo o con l’intento di provocarne le dimissioni…». Orbenenon è chi non veda come, nel caso all’esame di questo Tribunale, ancheove si volesse identificare nella condotta dell’imputata un’attivitàillegittima di rimproveri (e insulti?), non si vede quale potrebbeessere lo «…sfruttamento morale e fisico…» né come potrebbesostenersi il: «…puro…», e quindi esclusivo, «…scopoemulativo…» e ancor di più «…l’intento di provocarne ledimissioni…» atteso che tale ultima finalità non è previstanell’imputazione né è risultata dalle testimonianze delle parti offeseche non sanno spiegarsi la ragione per cui l’imputata fosse prevenutanei loro confronti. Non a caso, nell’altra e recente pronuncia Cass. VIn. 31413 dell’8/3-21/9/2006 (di cui la dottrina citata costituiscecommento) relativa ai fatti avvenuti presso lo stabilimento Ilva diTaranto, la Suprema Corte ha ravvisato il diverso reato di tentataviolenza privata identificando nelle condotte vessatorie, adottate neiconfronti dei dipendenti, la finalità costrittiva alle dimissioni oall’accettazione di una novazione contrattuale in senso deteriore.
Deltutto assente risulta poi, nel caso di specie, l’idea di«…sfruttamento morale e fisico…», concetto che implica in sé unasituazione di vantaggio per lo sfruttatore. Nel caso di specie, nessunodei testi sostiene fondatamente che la G. abbia modificatol’organigramma dell’ufficio o abbia imposto una tempistica per ottenerevantaggi personali, mentre tutti insistono su di un inspiegabile einspiegato astio nei confronti degli stessi. Siamo anche qui al difuori dei casi in cui la giurisprudenza, ancorché di merito, haritenuto integrato il delitto di maltrattamenti sul luogo di lavoro ein assenza di violenze fisiche.
Vi è, invero, una pronuncia dilegittimità (Cass, VI n. 2609 del 25/9/96 – dep. 16/3/97 – imp. Aprile)ove il delitto è stato ritenuto sussistere in relazione a rapporti dilavoro e prescindendo da violenze fisiche, ma anche in quel caso siamolontanissimi dalla fattispecie in esame. Si trattava infatti diatteggiamenti pseudo correttivi adottati da ospiti-datori di lavoro diuna persona extracomunitaria che non veniva retribuita e a cui erasistematicamente stato imposto di non uscire, di non comunicare conalcuno, di lavarsi e vestirsi in giardino, di non guardare latelevisione.
Deve quindi concludersi come, pur potendoastrattamente configurarsi il delitto di maltrattamenti anche inassenza di violenze fisiche e, forse, anche di offese all’onore e allareputazione, esso debba essere corredato di particolari caratteristicheche rendano la vessazione oggettivamente odiosa e sopraffacente. IlGiudice penale deve sempre, infatti, avere precisa cognizione dellaresidualità della sanzione penalistica, da vedersi quale extrema ratio(Corte costituzionale sentenze n. 487 del 1989, n. 364 del 1988, n. 189del 1987), e ancorarsi saldamente, soprattutto in presenza di normeincriminatrici assai generiche, al principio di tassatività che soloimpedisce, in tali casi, l’arbitrio giurisdizionale. Non vi è quindialcun ostacolo nel ritenere che la norma in questione possa essereapplicata a casi finora non presi in esame dalla giurisprudenza dellecorti superiori, ma per farlo occorre comunque giustificare lasussistenza di requisiti analoghi a quelli già posti a base dellesuindicate pronunce. Un fenomeno non codificato, quale quello delmobbing, può in astratto essere il presupposto di norme penali ma, comeha autorevolmente sostenuto la dottrina, il concetto apparecostantemente legato alla già richiamata finalità espulsiva deldipendente, che non risulta né contestata né provata nel caso dispecie. La dottrina ha poi ribadito come non sembri che il dirittopenale assicuri sempre tutela al dipendente mobbizzato, il che apparegiustificato se si tiene conto che il ricorso alla tutela penale deveessere considerato come un estremo rimedio cui l’ordinamento giuridicoricorre sol quando diverse forme di tutela appaiono inadeguate.
Nederiva che, allo stato dell’istruttoria dibattimentale, possa ritenersipiù che verosimile la cristallizzazione del materiale probatorio nelsenso già evidenziato cui l’escussione dei numerosi testi indicati nonfa supporre in alcun modo il venire alla luce di fatti nuovi e diversiatti a integrare i requisiti per l’applicazione della fattispecieincriminatrice di cui sub A). Per essa deve quindi essere pronunziatasentenza ex art. 129 c.p., impregiudicata ogni ulteriore valutazioneper ciò che concerne i reati di lesioni contestati ai capi da B) a I).
Perquanto attiene le parti civili C., F., R., P., D. e T., deveevidenziarsi come, ai sensi dell’art. 81 cod. proc. pen., la partecivile possa essere esclusa con ordinanza solo prima delladichiarazione di apertura del dibattimento, ma, giacché il termine iviprevisto non preclude alcuna delle possibili pronunce sull’azionecivile, l’inammissibilità della domanda proposta dalla parte civile, aseguito dell’accertata inesistenza di un danno risarcibile, può esseredichiarata anche con la sentenza che definisce il giudizio (Cass. sez.5, sentenza n. 14575 del 16/03/2005 Ud. – dep. 19/04/2005 – Rv 231776)nei suoi confronti. Ne deriva la necessaria esclusione essendo venutameno l’imputazione che fondava la loro partecipazione al processo.
P.Q.M.
Visto l’art. 129 comma I c.p.p.
Assolve l’imputata dal delitto di cui sub A) perché il fatto non sussiste.
Visto l’art. 81 cpp dichiara l’esclusione delle parti civili C., F., R., P., D. e T..