IL TRIBUNALE DI AGRIGENTO: LA LESIONE DELLA PROFESSIONALITA’ DELLA VITTIMA CONFIGURA UN DANNO DI NATURA PATRIMONIALE
La sentenza è di quelle destinate sicuramente a fare giurisprudenza sul sempre più manifesto fenomeno del mobbing.
Il giudice del lavoro del Tribunale di Agrigento, con sentenza emessa il 1° febbraio scorso, ha infatti condannato il preside di un istituto scolastico a pagare i danni, patrimoniali e non patrimoniali, al dirigente della segreteria scolastica quale vittima del mobbing da lui stesso esercitato, definendolo, in base agli atti processuali, “..quella situazione lavorativa di conflittualità sistematica, persistente e in costante progresso all’interno del luogo di lavoro, in cui gli attacchi reiterati e sistematici hanno lo scopo di danneggiare la salute, i canali di comunicazione, il flusso di informazioni, la reputazione e la professionalità della vittima.”.
Peculiarità
Sono molte le peculiarità di questa sentenza che peraltro evidenzia la diffusione del fenomeno anche nel pubblico impiego, ambito che nell’immaginario collettivo dovrebbe essere alieno dalla conflittualità e dai problemi considerati peculiari del settore privato. Anzitutto la precisazione che aspetti di danno di natura patrimoniale si rinvengono nella lesione della professionalità della vittima. Gli ordini di servizio e le continue richieste di chiarimento, le reiterate accuse ingiustificate e le minacce di sanzioni, il divieto di esercitare l’autonomia di spesa, secondo il giudice “..implicano per il responsabile amministrativo di una scuola, le cui funzioni consistono nell’organizzare i servizi generali amministrativo- contabili dell’istituzione scolastica, senz’altro una sottoutilizzazione delle sue esperienze lavorative. Queste sono beni che hanno un valore economico perché la professionalità specifica non è solo il risultato di nozioni teoriche, ma anche dell’applicazione pratica“ e, considerato il prolungato periodo di tempo durante il quale il soggetto ricorrente è stato limitato nell’applicazione delle sue capacità lavorative (circa dieci mesi), “..si è prodotto un danno di natura patrimoniale in conseguenza della dequalificazione subita”.
Fonti
Viene da chiedersi quali siano, a questo punto, le fonti della responsabilità civile da mobbing. Secondo una parte della dottrina essa nasce da una violazione dell’articolo 2087 codice civile in materia di sicurezza del lavoro, secondo il quale l’imprenditore è tenuto a adottare le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. Altri invece la individuano nella violazione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede e correttezza in ambito extracontrattuale. Nel caso del Tribunale di Agrigento, il giudice ha accolto la seconda interpretazione: le fonti della responsabilità del preside sono da ricercare nel generale principio del neminem laedere espresso dall’articolo 2043 codice civile la cui violazione è fonte di responsabilità aquiliana. E’ da notare come una concorrente responsabilità contrattuale del datore di lavoro ex articolo 2087 codice civile potrebbe configurarsi nei confronti dell’amministrazione statale in quanto il dirigente scolastico riconosciuto colpevole di mobbing si pone come organo del ministero dell’Istruzione ma il discorso cade perché il ricorrente non ha citato altri soggetti in giudizio. Tornando al nostro discorso, nello specifico, per il giudice siciliano, ispirandosi alle sentenze della Corte di Cassazione n. 8827 e n. 8828 del 31 maggio 2003, la regola del neminem laedere trova la sua consacrazione nell’articolo 2059 codice civile, per cui nei conflitti interpersonali il risarcimento non deve essere limitato al danno morale, che deve essere assolutamente risarcito anche quando non scaturisca da un reato.
Interpretazioni
Al danno morale, infatti, va aggiunto, in sede risarcitoria, anche il danno esistenziale che “.. si presta a salvaguardare il profilo relazionale-sociale dell’individuo, che viene così protetto in tutte le attività e manifestazioni espressive della personalità“. In base a tali considerazioni, alla vittima, oltre alla rifusione delle spese, è stato riconosciuto un risarcimento complessivo di 18 mila euro così ripartiti: 5606 euro per il danno patrimoniale; 2500 euro per il danno biologico; 5 mila euro per il danno morale; 4894 euro per il danno esistenziale. Per quantificare tale risarcimento, come si legge dalla sentenza, il giudice si è appellato al criterio dell’equità “..trattandosi di riparare la lesione di valori inerenti alla persona …”
di Alberto Savarese denaro.it