Mobbing, i diritti di oggi e di domani

Mobbing, i diritti di oggi e di domaniTutto quello che avreste sempre voluto sapere sul mobbing e non avete mai osato chiedere. E un giudizio sulle novità nel nuovo testo unificato presentato in Parlamento
Intervista all’avvocato Stefano Oriano, responsabile consulenze giuridico-legislative sulle materie afferenti alle aree di lavoro del dipartimento Politiche di welfare e nuovi diritti

di Federico Pace

Ci sono norme che esplicitamente tutelano il lavoratore per attività di mobbing contro di lui?
Il mobbing non è ancora contemplato nel nostro ordinamento e quindi non sono previste espressamente tutele nei confronti delle vittime e sanzioni contro i colpevoli. Ciò non comporta, ovviamente, che un simile spregevole comportamento sia consentito e che non possa essere soggetto a sanzioni, sia civili che penali. In molti casi le vittime del mobbing si sono rivolte all’autorità giudiziaria che ha condannando i comportamenti persecutori, quasi sempre per la violazione di norme del diritto del lavoro.

Quali sono i passi che deve seguire un lavoratore mobbizzato per denunciare le attività persecutorie contro di lui?
In primo luogo è necessario che il lavoratore che si ritenga oggetto di mobbing cerchi di inquadrare correttamente i comportamenti persecutori che ritiene di subire e i soggetti che li mettono in atto (vedi tabella). Per far ciò deve avere un’idea generale di ciò che potrebbe configurarsi come mobbing, e vedere se ciò che subisce rientra in questo concetto.

Quanto è difficile distinguere tra ‘semplice’ prevaricazione e mobbing?
La presa di coscienza che il mobbing è un comportamento illegittimo e non un uso disinvolto delle “regole del gioco” è stato un fattore assai importante che ha contribuito a far comprendere i propri diritti, ma occorre evitare di incorrere nell’errore di considerare come mobbing ogni comportamento sgradevole o scorretto che si subisce.

E allora quando siamo in presenza di mobbing?
Sulla base della prevalente giurisprudenza, il mobbing potrebbe essere qualificato come “persecuzioni, vessazioni e/o angherie messe in atto, con continuità e sistematicità, sul luogo di lavoro, nei confronti di un lavoratore da parte del datore di lavoro o dei colleghi”. Tali atti possono anche essere accompagnati da atti aventi una propria rilevanza giuridica autonoma (retrocessioni, trasferimenti, ingiurie ecc). E’ necessario che il comportamento offensivo sia continuo e sistematico, non essendo sufficiente un singolo atto o una pluralità casuale o ristretta nel tempo. Non ritengo corretto fissare un limite minimo di durata delle persecuzioni, che vanno valutate caso per caso, anche in relazione alla loro intensità ed al loro ripetersi. Non considererei per esempio come mobbing il ripetersi di episodi (magari da parte di diversi soggetti) estremamente diluiti nel tempo, mentre riterrei di essere di fronte ad un caso di mobbing in presenza di molteplici episodi reiterati nel giro di poche settimane.

Una volta riconosciuto cosa si deve fare?
Verificata la situazione (anche con l’aiuto del sindacato in azienda) la vittima potrà rivolgersi al sindacato e/o ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (figura di tutela istituita dalla legge n. 626 del 1994) con circostanziate accuse. Questi ultimi interverranno sul datore di lavoro affinché imponga la cessazione dei comportamenti discriminatori (o li cessi se messi in atto da lui stesso) e ripristini la situazione pregressa. In caso ciò non avvenga, a lavoratore e sindacato non resterà che ricorrere all’autorità giudiziaria.

Qual è la cosa più difficile per un lavoratore da dimostrare o comunque il passo più difficile da compiere?
La necessità di provare l’esistenza delle persecuzioni e la loro reiterazione, dimostrando anche che non siano stati avvenimenti casuali e non connessi. Tale dimostrazione potrà avvenire sia attraverso documenti che con testimonianze (di colleghi o esterni all’azienda). Da evitare in ogni caso accuse temerarie che non possano essere provate, che potrebbero comportare grave pregiudizio per l’autore, sia per le conseguenze sul rapporto di lavoro sia per le reazioni degli accusati. Il livello di difficoltà è comunque legato alle specifiche situazioni: ci sono casi talmente evidenti da non presentare difficoltà di prova, e situazioni complicate ove la prova del mobbing presenterà grandi difficoltà. In generale tutti i casi in cui il mobbing viene (mi si perdoni il termine) fatto a regola d’arte, cioè esercitato senza incorrere nella violazione di precise norme di legge, sono di difficile dimostrazione. Nei casi in cui si lamenta anche un danno alla salute, esso andrà comprovato e dovrà essere dimostrata l’esistenza di un nesso causale con il comportamento vessatorio. Una volta verificata la impossibilità di prevenire o di far cessare sul sorgere il mobbing, sarà sempre necessaria molta attenzione e cura nella raccolta di elementi di prova e testimonianze, fin dalle prime manifestazioni dei comportamenti illeciti, e diventa indispensabile poter trovare la solidarietà di colleghi. Un passo sempre difficile è comunque il ricorso all’autorità giudiziaria, per i suoi riflessi sul rapporto con il datore di lavoro.

Quali sono le forme di mobbing oggi più diffuse sulla base delle esperienze dei vari sportelli mobbing delle associazioni sindacali e degli studi sociologici sul fenomeno?
Le persecuzioni psicologiche più diffuse risultano essere quelle messe in atto dal datore di lavoro o, per suo incarico esplicito o implicito, dai suoi collaboratori, per politica aziendale. Le finalità possono essere le più varie: la emarginazione e/o la espulsione del dipendente o di gruppi di dipendenti dalla azienda, senza sottostare ai vincoli di legge; il tentativo di imporre maggiore sudditanza psicologica e fedeltà all’azienda, o a singoli dirigenti, anche al di fuori dell’ambiente di lavoro; la repressione dell’attività sindacale. In molti casi ai comportamenti persecutori del datore di lavoro o dei preposti si aggiungono, purtroppo, atteggiamenti analoghi di colleghi e persino di subordinati che, approfittando della situazione di difficoltà della vittima, le impongono ulteriori vessazioni.

Il mobbing per motivi “perversi” è quindi meno diffuso?
A quanto mi risulta, sono meno diffuse tutte quelle persecuzioni messe in atto dai colleghi per motivi vari, come ad esempio la “diversità” o la “originalità” della vittima, motivi personali (si pensi a profferte sessuali rifiutate) o senza motivazioni o cause precise. Anche in questi casi, tuttavia, il datore di lavoro ha precise responsabilità in quanto, pur non essendo l’ispiratore ha il preciso dovere di intervenire e garantire un corretto svolgimento della prestazione di lavoro.

Quali sono le novità che reputa positive del nuovo testo parlamentare unificato (vedi documento) sul mobbing?
In primo luogo ritengo vada valutato positivamente il fatto stesso di proporre una legge per la tutela dei lavoratori dalle persecuzioni psicologiche sui luoghi di lavoro. Un fatto positivo e in controtendenza nel panorama della legislazione del lavoro degli ultimi dieci anni, generalmente a sfavore del soggetto debole nel rapporto di lavoro. Le difficoltà di difesa sopra evidenziate, comprovate anche da un raffronto fra il numero di casi oggetto di intervento sindacale e/o legale e il numero di casi di “mobbing” ipotizzato dagli esperti, fanno cogliere immediatamente la inadeguatezza delle norme vigenti, che non sono state pensate per reprimere un fenomeno complesso come il mobbing, ma altre violazioni che, del mobbing stesso possono divenire specifiche manifestazioni. Anche l’impianto generale dello schema di progetto è da apprezzare. Si tratta di una proposta che si è perfezionata ed affinata nel corso delle legislature, in un proficuo concorso fra maggioranza ed opposizione, e che ha visto occasioni di confronto con le organizzazioni sindacali.

Cosa pensa della nuova struttura “leggera” del provvedime
nto?
Ritengo che sia apprezzabile tale forma che prevede la definizione del “mobbing”, l’attività di prevenzione ed accertamento, attività di informazione, responsabilità disciplinari per i colpevoli, apposita tutela giudiziaria in via d’urgenza, e la previsione di iniziative sindacali per la redazione di appositi codici di tutela. Nel merito, è da valutare positivamente la scelta di definire il comportamento persecutorio illegittimo senza introdurre elementi di rigidità (ad esempio una durata minima).

E la previsione che la tutela comprenda anche i lavori atipici?
E’ molto condivisibile che la tutela vada a comprendere tutte le tipologie di lavoro così come il fatto che le varie forme di “mobbing” avvengono sia da parte datoriale, che da parte di colleghi (sovraordinati, di pari livello o subordinati). Come anche la previsione di attività di prevenzione, affidata, a seconda delle competenze, a RLS-RSU e datore di lavoro – e non, come previsto in alcuni dei disegni di legge precedenti, a nuovi organi, in concorrenza con il sistema di relazioni sindacali esistente nel nostro ordinamento – e di informazione periodica e assemblee dei lavoratori specifiche sulla problematica, da aggiungersi a quelle previste dall’articolo 20 della legge n. 300 del 1970. Ma sono positive anche la tutela giudiziaria con procedura d’urgenza, anche in considerazione del pessimo funzionamento del nostro sistema giudiziario e della durata media dei processi, nonché la previsione esplicita che alle vittime delle persecuzioni psicologiche debbano essere risarciti sia i danni patrimoniali che i danni non patrimoniali.

Ci sono delle cose che non le sembrano convincenti?
Non approvo il fatto che la definizione del mobbing preveda la necessaria presenza della finalità di danneggiare l’integrità psico-fisica della lavoratrice o del lavoratore. Continuo a ritenere che il mobbing debba essere considerato di per sé illegittimo e atto a produrre danni, indipendentemente dalle finalità che lo ispirano che, come sopra detto, possono essere le più diverse. In definitiva il mobbing non può e non deve trovare giustificazioni neppure quando sia la reazione a comportamenti scorretti ai quali si deve sempre rispondere con atti legittimi. Per fare un esempio se un lavoratore ha una scarsa produttività non altrimenti risolvibile (ad esempio applicandolo a mansioni diverse) sarà ovviamente legittimo il ricorso a provvedimenti disciplinari e, ultima ratio, al licenziamento, ma non potrà, ovviamente, essere considerato legittimo il sottoporlo a mobbing. A differenza di quanto previsto in precedenti progetti di legge, non sono più espressamente sanzionati i comportamenti omissivi di datore di lavoro e preposti che consentano pratiche persecutorie sul luogo di lavoro.

Cosa si dovrebbe fare?
Sarebbe opportuno riconfermare la esistenza di responsabilità oggettiva del datore di lavoro come peraltro già previsto anche dall’articolo 2087 del codice civile.

Esiste in Europa un paese con legislazione che tutela di più il lavoratore in questo tema? Quali norme si potrebbero “imitare”?
In mancanza di una legge specifica di tutela, sono molti i paesi che in Europa garantiscono meglio i lavoratori contro il mobbing, non solo per la esistenza di specifiche normative, ma anche perché in generale il rispetto per gli altri e la cultura della legalità sono maggiori che da noi. In Svezia e in Norvegia, già nel corso dei primi anni novanta, ci sono stati interventi specifici sul fenomeno delle molestie morali; famosa la ordinanza svedese del 1993 che, promuove e impone attività di prevenzione concertata fra sindacato e datore di lavoro ai diversi livelli. Nella vicina Austria, il “Piano d’azione uomo-donna” del 1998 prevede specifiche norme per la tutela della dignità nel luogo di lavoro, con particolare riferimento anche al mobbing. In Gran Bretagna è stato approvato il Protection from harassment Act del 1997, che sanziona gli autori di comportamenti che possano costituire molestie, ed è in discussione una specifica normativa a tutela della dignità dei lavoratori. Ritengo comunque che la approvazione della legge in discussione, che mi auguro possa avvenire in tempi ragionevoli, potrà assicurare ai lavoratori italiani, almeno su questo versante, una tutela sicuramente competitiva con il resto dell’Europa.

 

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