Mentre la giurisprudenza negli anni ha canonizzato l’istituto del bossing, di rado ha esaminato un’altra forma più strisciante ma non meno subdola, fatta ancora una volta di pressioni e intimidazioni psicologiche subite dal lavoratore sui luoghi di lavoro: il mobbing orizzontale.
Se nel primo caso (mobbing verticale) l’autore delle condotte vessatorie è il datore di lavoro, nel secondo è il collega, rispetto al quale non necessariamente la vittima deve essere collocata in una posizione di subordinazione.
Tale fenomeno (dall’anglosassone “to mob”: attaccare, aggredire in massa) è stato approfondito da Heinz Leymann che, definendolo una vera e propria patologia dell’organizzazione aziendale, ne ha delineato comportamento tipico e tratti caratteristici di persecutore e vittima.
Diventa persecutore colui che metta in atto comportamenti (più o meno apertamente) diretti a distruggere socialmente e psicologicamente il lavoratore, fino ad indurlo a licenziarsi o a creare le condizioni idonee al licenziamento senza l’alea della vertenza sindacale.
Il perseguito è invece la persona che assurge al ruolo di vittima.
I soggetti maggiormente esposti sono: neoassunti, data l’estraneità al gruppo precostituito; anziani, data la maggiore onerosità in termini di costi aziendali; esuberi, data la loro superfluità all’interno della compagine aziendale; persone abili e capaci, perché vissute come soggetti potenzialmente pericolosi e idonei a mettere in risalto la mediocrità o l’inattività altrui; diversi, in quanto voci fuori dal coro; persone oneste, in quanto difficilmente corruttibili o inducibili a compromessi.
Oltre agli studi di Leymann, il più strumento per lo studio del fenomeno è il questionario Lipt, la cui validità, universalmente riconosciuta, è stata consacrata anche da Harald Ege, tra i maggiori esperti in materia in Italia, che lo ha utilizzato per procedere alla valutazione e quantificazione del danno da mobbing.
Secondo il “metodo Ege 2002“, da anni accreditato presso molteplici tribunali, le condizioni che si devono verificare perché si possa parlare di mobbing sono sette:
1.ambiente: conflitto sul posto di lavoro;
2.frequenza: almeno alcune volte al mese;
3.durata: per almeno sei mesi;
4.tipo di azioni: pluralità di attacchi (isolamento sistematico, cambiamento delle mansioni, lesioni della reputazione professionale e privata, violenza o minacce);
5.dislivello tra antagonisti: inferiorità della vittima;
6.andamento a fasi successive: sempre in crescendo;
7.intento persecutorio: disegno ben preciso mirante alla provocazione deliberata di sofferenze finalizzate alì indurrer la vittima ad adottare un certo comportamento (ad es.: licenziamento).
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