TRIBUNALE DI BARI – G.U. (Est. Notarnicola) Ord. 29 settembre 2000 – Di Canosa c. Poste Italiane S.p.A.
Il Giudice presso il Tribunale di Bari, dr.ssa Beatrice Notarnicola, in funzione di Giudice del lavoro, letti gli atti e sciolta la riserva,
premesso
che con ricorso ex art.700 c.p.c. depositato il 20.4.00, la dr.ssa Caterina Di Canosa deduceva la nullità del provvedimento di trasferimento comunicatole il 29.2.00 e l’illiceità dei comportamenti discriminatori e lesivi di emarginazione, depauperamento del suo bagaglio professionale e lesione della sua immagine, dignità e personalità, tenuti in suo danno nell’ultimo anno e mezzo dai dirigenti della sede pugliese delle Poste Italiane (di seguito P. I.) e chiedeva l’adozione dei provvedimenti di urgenza idonei a tutelare il diritto e la salute e, in particolare, l’ordine di immediata sospensione degli effetti del trasferimento del 29.2.00 – con i consequenziali provvedimenti, tra cui la reintegrazione nel posto di lavoro occupato prima, nonché l’ordine di cessazione di tutti i comportamenti volti danneggiare professionalmente la ricorrente, in particolare, tenendola inoperosa, isolata dai colleghi, ovvero assegnandole incarichi inadeguati alla sua professionalità.
che si costituivano le P. I. contestando l’esistenza del fumus boni iuris e del periculum in mora;
che, all’esito dell’interrogatorio libero delle parti e dell’esame degli informatori, acquisite note, sentite le parti all’udienza del 22.9.00 questo GL si riservava;
osserva quanto segue.
La domanda è fondata.
Quanto al fumus boni iuris essa si fonda su un doppio ordine di motivi, rappresentati dalla nullità del provvedimento di trasferimento del 29.2.00 per insussistenza di motivazione tecnica, produttiva ed organizzativa e dall’illiceità della condotta datoriale di cd. mobbing.
In ordine al primo motivo.
E’ pacifico che la ricorrente, laureata in Economia e Commercio era inquadrata dal 24.11.94 nell’area Quadri 1 livello ed assegnata all’Area Servizi Finanziari, ove aveva ricevuto la responsabilità di dirigere l’articolazione “Servizi Conto Terzi” preposto alla gestione amministrativa e contabile dei servizi resi ai terzi, ovvero ai maggiori clienti dell’ente, (pensioni INPS, pensioni dello Stato, riscossione crediti, pagamenti, imposte, etc.) ed aveva espletato dette mansioni per quattro anni.
A tale riguardo, l’informatore dr. Ventrella, Dirigente dell’Area Servizi Finanziari dal febbraio 1998 al gennaio 1999, ha riferito che “la ricorrente si occupava del “Servizio Conto Terzi” … svolgeva attività di staff in quanto era responsabile del servizio e a lei facevano capo gli operatori della produzione, … svolgeva attività di controllo, coordinamento ecc…. per quanto riguarda le trattative con i rappresentanti degli enti e delle società con cui erano strette le convenzioni, erano condotte personalmente dalla ricorrente e concluse da me sulla base delle relazioni fatte dalla ricorrente”.
Con lettera del 28.2.99, in atti, l’Ing. Augusto, Direttore Regionale R. T., aveva comunicato la soppressione della struttura di appartenenza e la prossima valutazione della ricollocazione della lavoratrice.
Con lettera del 28.5.99, in atti, lo stesso ing. Augusto aveva comunicato l’assegnazione alla Direzione Privati – Divisione S.F.
Con fax del 6.6.99, in atti, l’ing. Augusto aveva comunicato alla ricorrente l’affidamento del compito di rilevazione dei dati sulla qualità dei servizi finanziari.
Dall’istruttoria è risultato che oltre tale attività di raccolta dati la ricorrente non ha svolto altre mansioni, tanto meno quelle proprie dell’area di assegnazione e che è stata tenuta al di fuori dell’attività dell’area stessa.
Tale circostanza emerge dalle deposizioni degli informatori di parte ricorrente, che hanno dichiarato che la ricorrente “non aveva lavoro da fare ed era sola… la vedevo a disagio e lei mi diceva che non aveva lavoro da fare” (dr. Ventrella) e che “la ricorrente lamentava di avere paura di essere spostata dall’ambiente lavorativo della Direzione Regionale … intorno alla ricorrente non vi era molto movimento” (dr. Oresta).
Essa è confermata proprio dal dr. Toma, dirigente della Direzione Privati della Divisione Bancoposta, cui la ricorrente era assegnata, informatore citato dalle P. I.; il dr. Torna ha dichiarato che “la ricorrente non era inserita effettivamente nella Direzione Privati …per quanto riguarda le mansioni espletate dalla ricorrente nel periodo in questione mi risulta che fosse addetta all’elaborazione dati …. da me non venivano impartiti disposizioni o incarichi”.
Con lettera del 29.2.00, in atti, l’ing. Augusto aveva comunicato la prossima assegnazione dell’istante ad un ufficio di produzione dal 1.3.00, individuato nell’U. P. Bari succ. 5 come da telefax del 1.3.00 del Direttore di Filiale, in atti. Dal 1.4.00 la ricorrente si era assentata dal lavoro per malattia. Dall’istruttoria svolta è emerso che la ricorrente era stata addetta nell’ambito dei servizio “Conto terzi”, ad attività di staff, aveva curato personalmente i rapporti con i maggiori utenti delle Poste; aveva sviluppato aveva svolto attività di coordinamento e controllo del servizio; era stata preposta gerarchicamente agli operatori del servizio; era stata sottoposta gerarchicamente, nell’ambito dell’area, solo al dirigente dr. Ventrella; aveva maturato elevate competenze e professionalità specifiche del settore.
In definitiva la ricorrente presenta un bagaglio di professionalità notevole in materia di rapporti economici con i più importati clienti delle Poste, ovvero in ambito di attività cd. di staff.
Invece, nel periodo dell’assegnazione alla Direzione Privati, che lo stesso dr. Toma ha definito “formale”, la ricorrente ha svolto solo un’attività di raccolta dati.
E’ di palmare evidenza che si tratti di mansioni non equiparabili a quelle svolte in precedenza.
In relazione alla oggettiva consistenza, l’attività successiva era una mera attività di rilevazione di dati mentre la precedente attività comportava funzioni di coordinamento, elaborazione di relazioni, etc.; in relazione alle modalità di espletamento, le mansioni erano espletate dalla ricorrente completamente sola, mentre le sue mansioni anteriori comportavano la responsabilità di un settore e la superiorità gerarchica sugli altri dipendenti addetti e il rapporto con altri enti pubblici e privati di primaria importanza.
Pertanto, il demansionamento subito si rileva sia in relazione alla natura della mansioni e al depauperamento professionale che ne deriva sia in relazione alla diminuzione del prestigio subito nell’ambito delle relazioni interpersonali con interni ed esterni.
Infine, non può neppure ritenersi legittima l’assegnazione dell’istante ad un ufficio postale, ovvero ad un settore tipicamente ed esclusivamente di cd. produzione.
Secondo quanto dichiarato dall’informatore dr. Oresta “gli uffici postali comportano rapporti con la clientela e gestione di denaro, e questi problemi di natura contabile richiedono esperienza e specifiche propensioni”.
Si deduce, quindi, la differenza tra un’attività di cd. staff rispetto a quella di cd. produzione quale quella cui l’istante è stata destinata.
Ciò impedisce l’utilizzazione del bagaglio di competenze specifiche maturate dalla lavoratrice e provoca un depauperamento delle stesse a causa del mancato esercizio.
Questo comporta la negazione dell’equivalenza delle mansioni ai sensi dell’art.2103 c.c. cui l’istante aveva diritto.
A riguardo non si condivide la tesi di parte resistente secondo cui l’equivalenza delle mansioni, nel caso di specie, è assicurata dalla circostanza che entrambe siano riconducibili alla previsione contrattuale dell’Area Quadri di 1 livello.
Infatti, la violazione del diritto all’equivalenza delle mansioni può anche coesistere con l’inquadramento delle nuove mansioni nel medesimo livello o nella medesima area di provenienza individuati dalla contrattazione col
lettiva.
L’equivalenza va valutata “in relazione alla competenza richiesta, al livello professionale raggiunto e alla utilizzazione del patrimonio professionale acquisiti nella pregressa fase del rapporto e della precedente attività svolta”, nonché nella possibilità per il lavoratore di “essere adibito a funzioni confacenti alle sue qualità nell’ottica di un loro costante affinamento e di una progressiva evoluzione delle stesse” (Cass. 2428/99).
In tale ottica, nel caso di specie l’equivalenza non sussiste.
Peraltro, proprio la circostanza che all’indomani dell’inizio del processo di riorganizzazione aziendale la ricorrente fu assegnata alla Direzione Privati conferma la iniziale volontà delle Poste di assegnare la lavoratrice ad un settore a lei consono.
Il fatto che l’istante sia stata tenuta completamente isolata ed estraniata dall’attività della direzione, nonostante il suo inserimento nella stessa, ad opera del dr. Toma, con il benestare – da egli stesso riferito – dei suoi superiori gerarchici, non può portare a ritenere che sia stata attuata solo una posticipazione del suo trasferimento presso la Filiale.
Proprio la motivazione fornita dalle Poste, e cioè che l’assegnazione era solo “formale” denuncia un’irregolarità della gestione del rapporto lavorativo con la ricorrente.
Infatti, in base alle regole della correttezza e della buona fede, la legittima assegnazione ad un determinato settore comporta il diritto – dovere da parte del datore di lavoro di pretendere ed anche assicurare al lavoratore ad esso destinato di esplicarvi la propria attività lavorativa, salva l’adozione di provvedimenti temporanei di mobilità che non sono stati certamente emessi nel caso di specie.
Infine, l’innegabile diritto delle Poste ad attuare la propria organizzazione aziendale, connotata dalla necessità di trasformare un apparato di vecchio stampo tipico di una pubblica amministrazione in una impresa moderna, deve essere esercitato con le opportune cautele, in modo da non ledere il diritto all’equivalenza della mansioni dei lavoratori.
Pertanto il trasferimento adottato con provvedimento del 28.2.00 è illegittimo.
Quanto al secondo motivo.
Dall’istruttoria espletata è risultata confermata la doglianza dell’istante, di essere stata sottoposta ad una condotta di cd. mobbing.
Il termine mobbing è stato utilizzato dall’etologo Konrad Lorenz allo scopo di descrivere l’atteggiamento del branco che vuole allontanare un membro dello stesso.
Introdotto nell’ambito lavoristico, il termine indica i comportamenti ostili, vessatori e di persecuzione psicologica realizzati da colleghi (cd. orizzontale); e dal datore di lavoro e dai superiori gerarchici (cd. verticale) nei confronti di un dipendente individuato come vittima, intenzionalmente rivolti ad isolare ed emarginare il soggetto passivo nell’ambiente di lavoro.
Secondo le tabelle degli psicologi il mobbing si configura dopo almeno sei mesi di vessazioni ripetute.
Sotto il profilo medico-legale, il fenomeno si concretizza in una lesione della salute del lavoratore, consistente in uno stato di disagio psicologico e nell’insorgenza di malattie psico-somatiche sino ai disturbi da stress (“Mobbing e rapporto di lavoro” P. Tullini, R. I. D. L., 2000, 1).
All’esito di una tipizzazione sociale, il progetto di legge del sen. Tapparo ed altri individua come rilevanti, tra le altre condotte, “gli atti vessatori, persecutori, l’offesa alla dignità, … la delegittimazione di immagine, anche di fronte a soggetti esterni dell’impresa, ente o amministrazione (clienti, fornitori, consulenti)…” ovvero le condotte teleologicamente finalizzate a “… danneggiare il lavoratore nella propria carriera, status, potere formale ed informale, grado di influenza sugli altri, rimozione da incarichi, esclusione o immotivata marginalizzazione della normale comunicazione aziendale”.
Così individuato il concetto di mobbing, può rilevarsi come nel caso in esame sussistano i suoi elementi costituivi.
Come già innanzi evidenziato la ricorrente, pur essendo formalmente assegnata alla Direzioni Privati, non fu mai coinvolta nelle attività della stessa.
Il dr. Toma ha espressamente riconosciuto di un averle mai impartito ordini o direttive in quanto “non faceva parte dell’organico” a lui assegnato.
Come pure già evidenziato, la ricorrente veniva anche lasciata senza lavoro, a parte la raccolta dei dati, attività certamente inadeguata alle sue capacità e al suo livello di inquadramento.
Gli informatori hanno dichiarato che la ricorrente “non aveva lavoro da fare ed era sola… la vedevo a disagio e lei mi diceva che non aveva lavoro da fare” (dr. Ventrella) e che “la ricorrente lamentava di avere paura di essere spostata dall’ambiente lavorativo della Direzione Regionale … intorno alla ricorrente non vi era molto movimento” (dr. Oresta).
All’esclusione dal settore di assegnazione, alla riduzione qualitativa degli incarichi ed all’inoperosità si aggiungeva una situazione di emarginazione logistica e fisica.
Lo stesso dr. Toma ha afferma che “Nel primo periodo la ricorrente era allocata all’8° piano e il personale a me assegnato era collocato tra il 9° e l’8° e in un secondo periodo, nell’ambito di una ricollocazione del personale, la mia direzione fu tutta spostata al primo piano. Non so se la ricorrente fu spostata e dove fu collocata”.
L’arch. Orlando, informatore di parte resistente, ha dichiarato di essere stato contattato dall’istante in quanto, una volta spostato il personale della Direzione Privati al 1° piano del corpo A, “Lei era rimasta all’8° piano